Cosa sta combinando Airbnb, la piattaforma che prima della pandemia stava rivoluzionando il mondo (e il modo) di viaggiare? La crisi del 2020 sembra sostanzialmente superata: il gruppo, quotato in borsa lo scorso anno, ha chiuso il primo semestre dell’anno con un fatturato di 2,22 miliardi di dollari, in salita dell’89,7% rispetto agli 1,1 miliardi dello stesso periodo dell’anno precedente. La ripresa dei viaggi, pur con le restrizioni e i vincoli che hanno ristretto mappe e itinerari, e il cambiamento delle abitudini delle persone, dal telelavoro alla destagionalizzazione dei periodi di vacanza fino alla ricerca di esperienze differenti, fanno ben sperare anche per il prossimo trimestre. D’altronde un’indagine effettuata da Oxford Economics ha analizzato di recente l’impatto economico della community di Airbnb in una trentina di destinazioni selezionate in tutto il mondo. Ebbene nel 2019 il sito di viaggi ed esperienze avrebbe favorito oltre 300mila posti di lavoro, tra cui decine di migliaia di posti di lavoro in settori come ristoranti e vendita al dettaglio, duramente colpiti dalla pandemia. In tutta Europa la spesa dei guest su Airbnb ha supportato circa 51mila posti di lavoro a Parigi, 14mila a Milano e oltre 8mila a Berlino. Più o meno, ogni mille ospiti delle strutture di Airbnb vengono supportati nove impieghi nel mondo del turismo.

Non solo. Il viaggio che sta tornando è anche cambiato nel suo dna, almeno per una bella fetta di persone. Per questo la piattaforma guidata da uno degli storici cofondatori, Brian Chesky, aveva lanciato già all’inizio dell’anno un programma, battezzato “The great rebalance of european travel” per garantire un ritorno alla circolazione turistica sicuro, sostenibile e più equo. Prevenendo, per quanto possibile, il ritorno del fenomeno dell’overtourism. E soprattutto evitando le frizioni con le amministrazioni rispetto alla regolamentazione sui soggiorni a breve termine: ad oggi il gruppo ha firmato oltre mille accordi normativi e fiscali a livello globale grazie a City Portal, uno sportello digitale lanciato lo scorso anno e progettato proprio per supportare città e organizzazioni turistiche. Già 35 governi ed enti in tutta Europa, inclusi Regno Unito, Francia e Danimarca, hanno in qualche maniera risolto i problemi più urgenti con Airbnb. E la piattaforma spera di aggiungere altri 25 possibili nuovi partner entro l’anno. L’obiettivo è pagare le tasse dovute e arginare la desertificazione dei centri storici a favore di appartamenti per turisti e a discapito dei residenti (e dei prezzi).

Qualche esempio? La collaborazione con l’Unione Europea, col supporto al Digital Services Act e l’invito a trovare regole univoche in tutto il continente per gli affitti a breve termine. Entro la fine dell’anno partirà una consultazione. In Catalogna – Barcellona è stata uno dei fronti di scontro più problematici per la piattaforma – sono state introdotte nuove regole per consentire agli host che affittano stanze private di registrare il proprio spazio con le autorità per la prima volta in assoluto. Nel Regno Unito si sta valutando l’introduzione di un sistema di registrazione ufficiale per chi affitta. In Francia c’è addirittura un programma condiviso col governo, l’Healthy Tourism Recovery Pledge, per supportare la ripresa del turismo post-pandemia e aumentare le registrazioni degli host nelle principali città, pratica che continua a buon ritmo a Parigi come a Bordeaux. Stesso discorso nei Paesi Bassi, da Amsterdam a Utrecht.

C’è poi l’impegno sulla promozione, in una ragnatela turistica inevitabilmente ristretta dall’impossibilità, per gli europei salvo eccezioni, di guardare per il momento agli Stati Uniti così come, ad esempio, a larghe regioni dell’Asia. “I modelli di viaggio stanno cambiando: la scorsa estate, ad esempio, il triplo delle persone hanno scelto Airbnb in Bretagna piuttosto che a Parigi, mentre nell’ultimo trimestre del 2020 più ospiti hanno soggiornato in Sicilia rispetto a Firenze e Venezia messe insieme. In Germania, Berlino era la destinazione più popolare per i viaggiatori, mentre quest’estate è la costa del mar Baltico” spiegano da Airbnb. E se già erano state annunciati 100 accordi e collaborazioni con organizzazioni di marketing, altre se ne sono aggiunte un po’ ovunque: Germania, Austria, Spagna e Italia. Nel nostro paese, ad esempio, il gruppo ha stretto una partnership con il comune di Milano e supportato la ripresa del turismo post-pandemia attraverso soggiorni a lungo termine, sempre più richiesti da chi viaggia nelle città per lavoro, studio o per riconnettersi con la propria famiglia. Anche a Firenze è arrivato un accordo, stavolta per promuovere il turismo di qualità e le esperienze sostenibili.

Chiudono le novità degli ultimi tempi la Neighborhood Support Line, una linea di comunicazione diretta con Airbnb per segnalare problemi con gli annunci o con il comportamento degli ospiti. Si tratta di un servizio di assistenza attivo anche in Italia oltre che in Francia, Regno Unito, Paesi Bassi, Irlanda, Repubblica Ceca e Ungheria e da poco lanciato in Germania, Austria, Svizzera e Spagna lo scorso maggio. Sono 27 i paesi in cui, se qualcosa va storto – per esempio per le feste in casa e le prenotazioni ad alto rischio, Airbnb interviene in prima persona.