Eventi meteo estremi e blackout elettrici. Un binomio sempre più frequente nelle cronache americane. Anche le tempeste di neve delle ultime ore hanno lasciato senza corrente centinaia di migliaia di statunitensi. Prima erano stati gli incendi o gli uragani. Ed è ormai nella storia l’ondata di gelo che proprio un anno fa si abbatté sul Texas provocando la più grande falla nella rete elettrica dello Stato, con più di quattro milioni di abitazioni al buio per molti giorni consecutivi.

 

Ma perché succede? E potrebbe accadere in Italia e in Europa se il riscaldamento globale dovesse inasprire gli eventi meteorologici anche in questa zona del Pianeta?

Sulle cause e i numeri dei blackout statunitensi si è espressa di recente la massima autorità americana in materia, la Energy Information Administration (EIA). Poche settimane fa ha pubblicato un rapporto che evidenzia come il 2020 sia stato un anno record per le interruzioni di corrente, con una media di otto ore senza elettricità per ogni cittadino americano. Ma chi vive in Louisiana nel corso del 2020 ha sperimentato addirittura venti ore di blackout. Il raffronto col passato è implacabile: nel 2013 la media annua delle ore senza corrente era meno di quattro ore per ogni cittadino americano.

 

Cos’è cambiato nell’ultimo decennio? Il clima. L’innalzamento delle temperature ha causato tempeste tropicali più violente, incendi che si sono protratti per settimane, e inverni con picchi di freddo mai toccati nel recente passato. Nel 2020, la tempesta tropicale Isaias ha lasciato senza elettricità 750mila utenze in Connecticut, una tempesta di ghiaccio ha messo nelle stesse condizioni 300mila famiglie in Oklahoma, e i fulmini hanno messo fuori uso una centrale nucleare nell’Iowa. Mancano ancora i dati completi relativi al 2021, ma oltre al Texas messo in ginocchio dal freddo in febbraio, va ricordato come tra agosto e settembre 2021 l’uragano Ida abbia lasciato senza elettricità un milione e duecentomila case negli otto Stati su cui ha imperversato.

Insomma, senza l’acuirsi dell’emergenza climatica e dei suoi effetti più immediati (uragani, tempeste, siccità,…) il blackout americani sarebbero probabilmente rimasti ai livelli del 2013.

 

E però è anche vero che eventi meteo sempre più “energetici” si abbattono su una rete elettrica, quella statunitense, ormai obsoleta, costruita per la maggior parte nella metà del secolo scorso, con alcuni pezzi di infrastruttura che risalgono addirittura agli anni Quaranta. E non è un caso che il colossale piano di investimenti dell’amministrazione Biden, il cosiddetto Bipartisan Infrastructure Deal preveda un investimento da 65 miliardi di dollari proprio per il rifacimento della rete elettrica nazionale, in modo che sia più resiliente dell’attuale. Anche con interventi banali, che però riguardano una rete immensa: sostituire i vecchi pali elettrici in legno con quelli in acciaio o cemento resistenti al vento, spostare le linee elettriche nel sottosuolo o sollevare i trasformatori da terra, in modo da non finire sott’acqua in caso di alluvioni.

La rete elettrica americana è un gigantesco colosso di sistemi interconnessi, legati insieme per migliaia di chilometri, che mescola tecnologie vecchie e nuove. Il Dipartimento americano per l’Energia ha publicato pochi giorni fa, il 12 gennaio, un piano che fotografa la situazione e indica i possibili rimedi: Build a Better Grid Initiative. Il punto di partenza anche per il Doe è l’obsolescenza della rete americana: “Già studi realizzati nel decennio scorso”, si legge nel documento, “certificavano che il 70% delle infrastrutture ha più di 25 anni“. Ma il problema è anche la scarsa connessione tra reti di aree diverse del Paese, connessioni che se esistessero potrebbero permettere il trasferimento di potenza elettrica verso quelle zone che rischiano il blackout.

 

Proprio il caso del Texas, la cui rete è scarsamente collegata alle due altre grandi “dorsali” statunitensi, quella occidentale degli Stati che si affacciano sul Pacifico e quella del Midwest. Per questo gli esperti americani chiedono che si infittiscano le maglie della rete elettrica nazionale. Come è già in Europa, che almeno da questo punto di vista sembra più attrezzata per fronteggiare le emergenze. Proprio nel gennaio dell’anno scorso, per esempio, il gestore della rete italiana e quello francese sono intervenuti (in automatico, con un tempo di reazione di 200 millisecondi grazie ai software) per compensare uno squilibrio di potenza elettrica verificatosi nei Balcani e che avrebbe potuto innescare un blackout europeo.

Certo, da noi non ci sono uragani e tempeste di neve come negli Usa. E non sappiamo quanto reggerebbero i nostri tralicci e i nostri trasformatori a eventi di quel genere. Ma in Italia e in Europa in anni recenti si è investito di più in manutenzione e innovazione delle reti. Il nostro Paese, per esempio, ha un Piano di sviluppo da 18 miliardi di euro, cifra che, viste le dimensioni dei due Paesi, fa apparire persino modesta quella di 65 miliardi di dollari messi sul piatto dalla Casa Bianca per ammodernare la rete americana.