I bambini che accompagnano i nonni a pesca agitano le mani per salutare i primi turisti che si inoltrano nelle Valli. Comacchio, ospitale e genuina, accoglie i forestieri nelle sue Valli selvagge a bordo di motonavi o piccole imbarcazioni che si spingono nei canali più stretti fino a sfiorare gli abitanti della zona dalle piume colorate, il becco aguzzo e le zampe lunghe. E la sera li attira come una sirena sui barconi nei canali trasformati in ristoranti romantici per una cena a base di pesce.

“Se vuole può entrare, venga”. La porta del capanno in legno del pescatore Mario è aperta a tutti quelli che vogliono curiosare in un mondo di ami, reti e secchi pieni di branzini. Nella sala più grande c’è una famiglia seduta a tavola che sta cenando, tre generazioni si rincorrono e si passano ciotole di spaghetti alle vongole e vino in bottiglia di plastica. Di fronte all’ingresso la vista sul canale calmo e stanco della sera è ipnotica. Due braccia meccaniche sollevano dal fondale la rete gigante che raccoglie le prede che si sono arrese e così la cena per tutta la baracca viene a galla.

Comacchio, scene dal Delta del Po

I capanni da pesca con la rete gigante adagiati sull’acqua e con tante storie da raccontare, le barche che si infilano nei canali stretti e fitti di vegetazione fra i rami del Delta del Po, i tramonti di fuoco che rendono il paesaggio delle Valli ancora più magico. E’ il viaggio a Comacchio – chiamata anche ‘la piccola Venezia’ per i ponti e i canali da cui è attraversata – e nei dintorni del Delta del Po. Una zona meno turistica rispetto ai lidi ferraresi, ma ricca di scorci/ paesaggi da scoprire e popolata da uccelli rari che hanno scelto questi luoghi paludosi come habitat naturale. Una terra che fa dell’anguilla la sua regina e che si rivela nella sua veste migliore a bordo di barche e motonavi

 

Mario dice che è stata una buona giornata e mostra il bottino di pesca: nel secchio ci sono un branzino, tanti pesciolini e sei gamberi reali blu. “Questi qui sono micidiali, ti ammazzano. Ma come sono buoni”, assicura. Poi prende una manciata di pesciolini e li butta nella friggitrice: “Prima del Covid passavano di qui i turisti francesi e mi chiedevano di vendere il pesce appena pescato – racconta Mario – Rispondevo di sedersi a tavola e lo preparavo al momento”. Il padellone, il loro modo di chiamare il capanno da pesca, è in attività dal 1966 e adesso più che mai durante le sere calde, Mario e la sua famiglia si riuniscono qui per la cena: mangiano quello che offre il mare.

A Comacchio il turismo si sta risvegliando lentamente. Si sente un timido accento straniero, qualche tedesco dalla Germania. “La stagione del turismo non è ancora partita davvero, mancano i francesi e gli inglesi, soprattutto gli americani”, spiega Enrico, che assieme alla moglie Stefania organizza tour in barca nelle Valli e lungo il Delta del Po. E’ il modo migliore per scoprire questa terra: addentrarsi con una barca nella fitta vegetazione delle paludi per ammirare rare specie di uccelli. “Alla vostra sinistra potete vedere i fenicotteri rosa e un cormorano che prende il volo”, annuncia al microfono di bordo Stefania, la capitana della motonave Albatros, che dopo anni di navigazione ha deciso di passare il testimone al marito per dedicarsi ai loro bambini.

Le escursioni via acqua consentono di raggiungere la valle Fattibello e le Saline, di ammirare anche all’ora del tramonto i vecchi casoni da pesca che caratterizzano il paesaggio, con la possibilità di cenare a bordo e godere del panorama offerto dalla natura circostante. I capanni da pesca, che ricordano i trabucchi pugliesi, vengono chiamati anche ‘bilancioni’ o ‘padelloni’ con riferimento all’attrezzo usato per pescare: una rete quadrata e un sistema a bilancia di sollevamento, che in un intervallo di tempo che va dai due ai dieci minuti si solleva dall’acqua verticalmente.

Lasciato porto Garibaldi alle spalle lo scenario cambia completamente: superata la zona balneare dei sette lidi di Comacchio, il Delta del Po si apre come un ventaglio. Sembra di entrare in una fiaba che a ogni pagina svela un dettaglio curioso: prima un airone reale maggiore si specchia nell’acqua come un narciso, poi uno stormo di fenicotteri rosa fa il bagno fra l’erba alta senza essere disturbato. Lingue di sabbia e tronchi abbandonati trascinati dalla corrente, una cavalletta sale a bordo, il vento soffia piano, poi il silenzio. In lontananza c’è un faro che veglia sull’isola del Bacucco, conosciuta anche come ‘Isola dell’amore’ e chiamata così perché i fidanzati di Goro e Gorino andavano a unirsi di nascosto dalle famiglie che non approvavano la coppia, racconta Stefania.

Nel cuore della sacca di Goro, un’area nota soprattutto per la produzione delle vongole, che in questi fondali sabbiosi – profondi in media 60-70 centimetri con un massimo di due metri – trovano il loro habitat ideale per svilupparsi, i pescatori parcheggiati su piccole barche fanno la selezione dei molluschi. “Le vongole dai 2,2 centimetri in su passano, quelle più piccole vengono ributtate in mare per la semina”, spiega amcora Stefania, che conosce bene questa terra. La pausa pranzo è una sorpresa: la barca si ferma in un canale stretto e fitto di vegetazione, con vista privilegiata sui giardini galleggianti. Il marinaio serve il risotto alla pescatora e un fritto misto preparati con la ricetta dei nonni: una garanzia. Il paesaggio qui è molto particolare. Ricorda le foreste di mangrovie e le zone paludose del Parco nazionale delle Everglades in Florida, ma senza i suoi abitanti più temuti: gli alligatori.

Il tramonto è il momento magico della giornata, soprattutto se ci si trova a stazione Foce, quando un fascio arancione illumina gli ultimi capanni dove uomini dalle braccia forti e dalle tempie bruciate dal sole tentano la fortuna prima di cena. Sulla sponda l’erba alta, verde speranza, danza al ritmo del vento per celebrare questo momento prima che la luce si spenga e cali la sera. Poi le palafitte diventano scure, adagiate sul fiume come le baracche dei pescatori sul lago Inle in Birmania, incantate e sospese a pochi centimetri dall’acqua. E’ una poesia già vista in quei luoghi senza tempo, una bellezza autentica scolpita nel legno, come le barche da pesca che hanno più di cent’anni e vorrebbero raccontare i segreti nascosti nella corrente, nel vento, nei fondali scuri. Le valli di Comacchio profumano di Oriente non soltanto nel paesaggio delle paludi, anche nelle ricette di pesce con i piatti che si avvicinano a quelli tailandesi e giapponesi, come le rane fritte e l’anguilla cucinata in tutte le salse.

E anche se questa non è stagione di anguilla – viene pescata nei mesi autunnali e invernali – la si trova nei menù di tutti i ristoranti e nelle vetrine dei negozi, riconoscibile per la confezione vintage rossa e gialla. E’ lei la regina di Comacchio, osannata dai turisti che vengono qui per assaggiarla e proposta dai ristoratori in 48 versioni diverse: a partire da quella alla griglia che sprigiona tutto il suo aroma intenso, fino a quella marinata che è presidio Slow Food. E alla Locanda Comacina si sono inventati l’amatriciana con anguilla affumicata, un piatto irresistibile. A ottobre, invece, la città si anima con una grande festa per celebrare questo pesce: la Sagra dell’anguilla è un evento che si estende per il centro storico di Comacchio, dal monumentale Trepponti alla Manifattura dei marinati: è il luogo simbolico che accoglie al suo interno la sala Fuochi, dove ancora oggi vengono arrostite le anguille.

E’ un viaggio dal sapore retrò quello nella zona dell’Emilia-Romagna che si abbraccia con il Veneto nel Delta del Po. I ponti e le case colorate che si specchiano nei canali fanno di Comacchio una piccola Venezia, ma meno sfarzosa e dai toni più rilassati rispetto alla nevrotica sorella maggiore. Un weekend fuori porta per scoprire un paesaggio poco conosciuto e ancora lontano dal turismo di massa, ma che sta emergendo anche grazie al cicloturismo che attira turisti da tutta Europa: un flusso che la pandemia ha momentaneamente congelato, ma che si spera possa ripartire presto.