Le previsioni su quello che potrebbe succedere a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre sono molto incerte. A fronte degli impegni dell’Unione europea di ridurre del 55% le emissioni entro il 2030 e di avere neutralità carbonica entro il 2050, e degli obiettivi abbastanza ambiziosi degli Stati Uniti, non è chiaro che cosa intenda fare la Cina. Potrebbe esserci qualche annuncio a sorpresa durante Cop26 su un anticipo del picco di emissioni al 2025 invece che al 2030 ma il punto centrale è che i cinesi non sembrano intenzionati a rinunciare al carbone e questo rende poco realistici gli impegni. 

La Cina, da sola, vale il 28% delle emissioni totali di CO2 e l’India è il terzo maggior produttore se non si considera l’Ue come blocco. La somma degli impegni unilaterali presi dai Paesi nell’ambito delle Cop non porta certamente a 1,5 gradi, come si propone il primo obiettivo della conferenza, ma neppure a due gradi. Molte incertezze pesano, dunque, sul successo di Glasgow.

Le conseguenze, secondo gli scenari climatici elaborati dall’Intergovernmental Panel on Climate Change, potrebbero essere disastrose. Per le attività produttive e per quelle vitali, con la riduzione del prodotto interno lordo globale di diversi punti causati dai danni climatici, che vanno dai cambiamenti graduali di aumento della temperatura – che generano degli spostamenti di fasce climatiche – all’intensificazione degli estremi climatici, come tropicalizzazione del clima, inondazioni improvvise, bombe d’acqua e impatti simili, che tendono ad aumentare.

Questo richiede una policy globale di adattamento, come prevede uno dei capitoli del secondo obiettivo di Cop26. Visto che non riusciamo a controllare il cambiamento climatico, dobbiamo adottare delle strategie per proteggerci dai danni. Un tema molto diverso rispetto a quello del controllo delle emissioni, che è legato soprattutto all’innovazione tecnologica e rientra negli impegni del Pnrr e della transizione ecologica. L’adattamento riguarda, invece, la pianificazione dei territori e le politiche pubbliche, soprattutto locali, che devono individuare delle strategie di protezione contro gli estremi climatici, contro quello che stiamo vedendo in questi giorni in Sicilia ma che abbiamo visto anche in Lombardia. Su questo l’Alta Scuola per l’Ambiente dell’Università Cattolica ha lavorato con il progetto di ricerca Clic-Plan e con il progetto Risk-Adapt ma lo sta facendo anche con il master “Governance dell’ambiente per l’ecologia integrale. Rischio climatico, adattamento, formazione”.

Kerry tratta con la Cina: ultimi sforzi per salvare Cop26

dal nostro corrispondente Antonello Guerrera

Sul tema dei rischi climatici e su quelli finanziari legati al clima l’Ateneo sta impegnando diversi progetti di ricerca, con un focus particolare sulla finanza sostenibile e l’inclusione dei di questo tipo di rischi nelle scelte finanziarie e di finanziamento. A livello internazionale c’è un processo che porta i finanziatori ad aggiungerli nel merito di credito, per esempio per imprese che hanno insediamenti che sono a rischio clima o per chi lavora nel settore delle fonti fossili. Questo senza contare l’impegno in prima linea della facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali di Piacenza sulla gestione delle risorse naturali e delle colture in chiave climatica e sulla questione delle rinnovabili (per esempio le biomasse), e dei fisici dell’ambiente della sede di Brescia, che lavorano da anni sul problema degli inquinanti, un tema molto legato all’aspetto energetico perché gran parte degli inquinanti atmosferici sono legati al consumo di energia.

Il glossario

Ventisei parole per capire Cop26

di Anna Dichiarante

Mentre gli scienziati fanno ricerca ed elaborano scenari, alla Cop26 i politici hanno il difficile compito di prendere impegni duraturi e mobilitare risorse perché le previsioni negative sui cambiamenti climatici del pianeta possano essere smentite. In questa direzione, il percorso dell’Unione Europea e dell’Italia appare deciso e chiaro, ma non è certo che potrà essere così per gli altri grandi attori. Non è inutile ricordare che il processo di governance del clima è cominciato alla fine degli anni ’80 e ancora attendiamo una svolta finale che metta da parte dubbi e interessi di corto respiro.

* Roberto Zoboli è delegato del rettore alla ricerca scientifica e alla sostenibilità e direttore dell’Alta scuola per l’Ambiente (Asa) dell’Università Cattolica. Docente di Politica economica per le risorse e l’ambiente alla facoltà di Scienze politiche e sociali