Il suolo è la pelle del Pianeta e senza una pelle in salute l’organismo ha meno difese. La Giornata mondiale del suolo, lanciata da Global Soil Partnership (costola della Fao nata nel 2012 per promuovere un’azione collettiva globale sul tema) ha appunto lo scopo di richiamare l’attenzione sull’importanza di un suolo sano e promuovere la gestione sostenibile delle risorse del terreno. Le azioni che portano a un degrado del suolo in Europa sono in aumento, come si legge nell’ultimo rapporto dell’European Environment Agency, nel quale si sottolinea che “il suolo è una risorsa finita e non rinnovabile, perché la sua rigenerazione richiede più tempo di una vita umana”.

 

I dati diffusi in questi giorni da Re Soil Foundation, nata nel 2020 e promossa da Università di Bologna, Coldiretti, Novamont e Politecnico di Torino, indicano che il 60-70% dei suoli nell’Unione Europea presenta qualche forma di degrado. “In Europa abbiamo 2,8 milioni di siti contaminati, il 65-75% dei suoli agricoli ha un apporto di nutrienti a livelli tali che rischiano l’eutrofizzazione e incidono sulla biodiversità. Il 25% dei terreni nell’Europa meridionale, centrale e orientale è a rischio alto o molto alto di desertificazione. Si stima che i costi associati al degrado del suolo nell’Unione superino i 50 miliardi di euro all’anno“, dice la Fondazione.

L’importanza di un suolo sano

Un suolo sano non significa soltanto cibo per tutti: decomposizione della sostanza organica, conservazione e depurazione dell’acqua e regolazione del bilancio idrologico, sequestro di CO2, preservazione della biodiversità (i soli microrganismi possono arrivare ad oltre un miliardo in un solo grammo di suolo), essere fonte di materie prime essenziali come argille, sabbie, ghiaie sono soltanto alcuni dei servizi offerti dal suolo. Eppure, sottolinea sempre l’Eea, la mancanza di una legislazione specifica sul suolo in Europa contribuisce al suo degrado nel Continente, nonostante nel nuovo European Green Deal il rispetto del suolo sia elemento chiave per avviare una transizione verde e inclusiva.

© Fondazione Re Soil 

Il degrado: le cause

Uno sviluppo urbano non più sostenibile, pratiche agricole e forestali inadeguate, attività industriali contribuiscono all’erosione del suolo con conseguente diminuzione di materia organica, inquinamento e contaminazioni locali e diffusi. Un suolo che si impermeabilizza e diventa sempre più compatto è alla base del dissesto idrogeologico, così come del calo della biodiversità: salinizzazione, alluvioni, frane e desertificazione sono insieme cause e conseguenze di un suolo sempre più degradato.

Cosa si fa per prendersi cura del suolo

“Supponiamo che il suolo sia come un paziente – risponde Claudio Ciavatta, ordinario di chimica agraria all’Università di Bologna, alla domanda su come prendersi cura del suolo – prima di tutto ci vuole un’anamnesi, che in questo caso non può prescindere dal conoscere la sua storia e avere perciò i parametri fisici, chimici e microbiologici del suolo. Poi bisogna comprendere qual è la destinazione di questo suolo”.

Una delle destinazioni più menzionate nei piani europei è quella dello sfruttamento agricolo. “Quando parliamo di sistemi coltivati – continua il professore – bisogna interloquire con chi coltiva i territori, perché sono gli agricoltori i più interessati alla fertilità del suolo. A partire dagli anni Sessanta di fatto non è stato l’agricoltore che ha deciso come e cosa produrre, ma il mercato”. Ciavatta ci richiama alle responsabilità individuali: “Siamo noi consumatori che abbiamo obbligato gli agricoltori ad abbandonare l’ordinamento colturale che si fondava naturalmente sull’economia circolare: dovendo produrre per il mercato, l’agricoltore si è dovuto adattare a un’economia lineare, che non è sostenibile”.


Nutrire il suolo per nutrire il Pianeta

“L’abbandono dell’economia circolare ha significato la diminuzione di fertilizzanti organici, poiché insieme alla coltivazione non c’era più l’allevamento e senza stalla non si può avere, appunto, il fertilizzante organico – spiega Ciavatta – Inizialmente sembrava che le cose potessero procedere con il nuovo assetto, ma negli ultimi decenni si è avuta la progressiva riduzione di fertilità in alcuni suoli, inoltre, alla diminuzione di sostanza organica corrisponde anche una maggiore probabilità di erosione del suolo“.

 

Una risorsa per nutrire il suolo può venire adesso dai rifiuti compostabili. Il Consorzio Biorepack, l’ultimo nato tra i consorzi Conai destinato alla raccolta degli imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile, si propone di produrre compost di qualità, trattando al meglio la frazione umida dei rifiuti urbani. “La diffusione delle bioplastiche compostabili e il loro corretto conferimento nell”umido aiuta ad aumentare il compost da riportare poi nei terreni agricoli e chiudere il cerchio che aiuta a curare il nostro suolo” dicono da Biorepack, che è nato proprio per aiutare un settore che sta crescendo a grande velocità in Italia e in Europa. Conai e Biorepack hanno di recente siglato con l’Anci, l’Associazione dei Comuni italiani, un protocollo che disciplina i criteri di raccolta, trasporto e trattamento dei rifiuti di imballaggio in bioplastica compostabile insieme alla frazione umida urbana. Per i Comuni e gli operatori delegati che firmeranno la convenzione saranno previsti corrispettivi economici a copertura dei costi di raccolta, trasporto e trattamento. Più sarà elevata la qualità della raccolta, maggiori saranno gli importi economici riconosciuti.

“Gli investimenti per un totale recupero del rifiuto a base organica sono fondamentali – commenta Ciavatta –  Finanziare la ricerca e lo sviluppo di tecnologie capaci di migliorare la qualità dei rifiuti per renderli idonei all’utilizzo agronomico sarà cruciale. In questo l’Italia è leader in Europa, con norme severe sulla salubrità delle biomasse grazie al  decreto legge 75/2010, che si occupa di fertilizzanti. A partire dal 16 luglio 2022 entrerà operativo anche il regolamento Ue 2019/1009 e per la prima volta nella Ue si è creato un mercato comune per il concime da compost: il concime minerale non dovrà essere considerato come l’unico possibile”.

Suolo e politica agricola comune in Europa

Per prendersi cura del suolo e tenere fede agli obiettivi di sviluppo sostenibile un ruolo fondamentale in Europa è rappresentato dalla Pac, la politica agricola comune della quale si stanno definendo gli accordi per il periodo 2021-2027. Emanuele Blasi, ricercatore del Dipartimento per la Innovazione nei Sistemi Biologici, Agroalimentari e Forestali  dell’università della Tuscia, a questo proposito osserva: “Anche nella sua nuova veste l’Ue sta dando un messaggio chiaro su quanto sia importante tutelare il suolo e lo sta facendo utilizzando gli ecoschemi (cioè gli impegni che l’agricoltore si assume nei confronti dell’ambiente per mitigare l’effetto serra, ndr.), che rappresentano una novità nella politica comunitaria”.

 

Anche Blasi ribadisce che prendersi cura del suolo dipende dalla quotidianità di tutti: “Dobbiamo ripensare il nostro modo di nutrirci, cercando di variare i nostri cibi e aumentando il tempo dedicato a cucinare per trovare alimenti sostenibili e riconoscendo il lavoro degli agricoltori. Bisogna confrontarsi di più con il mondo agricolo, mettendosi nei panni di chi al momento viene troppo spesso considerato soltanto un inquinatore, un lupo cattivo”.

“Il concetto alla base – conclude il ricercatore –  è che per tutelare il suolo e ciò che vi si produce è necessario che in Europa e in Italia ci sia ancora convenienza a coltivare la terra. Ben vengano gli investimenti tecnologici per migliorare la resa del suolo, ma dobbiamo preoccuparci di più che in futuro non ci saranno più persone disposte a fare l’agricoltore. Se qualsiasi altri lavoro viene considerato migliore e più remunerativo di quello dell’agricoltore e se persistono i problemi di accesso alla terra, la Pac non basterà a fermare l’abbandono dei terreni produttivi. E poco cambierà se il consumatore non è disposto a pagare qualità, sicurezza e sostenibilità”.