Ricercatori dell’Università di Stanford hanno analizzato un processo innovativo che potrebbe trasformare un problema in una soluzione: catturare il metano, un potente gas climalterante, e trasformarlo in una derrata che serve a migliorare la sicurezza alimentare. Si tratta di un sistema di bioreattori all’interno dei quali i batteri alimentati con il gas, ossigeno e altri nutrienti, forniscono un cibo proteico che può essere dato ai pesci in allevamento.

Finora non si conosceva il suo valore economico. Gli studiosi sono però riusciti a stabilirlo scoprendo che è anche molto più efficiente di altri metodi che cercano di eliminare questo inquinante dall’atmosfera. Il mangime ottenuto in questo modo costa meno di quello che viene generalmente utilizzato, consuma meno risorse come acqua, terreno e fertilizzanti e ha anche un più alto contenuto di proteine. La ricerca è stata finanziata dallo Stanford Center for Innovation in Global Health e dalla Stanford Natural Gas Initiative.

Nonostante l’anidride carbonica sia più abbondante, il potenziale di riscaldamento del metano è fino a 25 volte maggiore se si considera un periodo di 100 anni. Questo gas ha anche un effetto sull’ozono troposferico, del quale aumenta l’effetto, contribuendo al milione di morti premature dovute a problemi respiratori. Rispetto alla CO2 la sua concentrazione è cresciuta più del doppio dall’epoca della Rivoluzione industriale.

Il metano proveniente dall’estrazione di combustibili fossili ha raggiunto il 30% delle emissioni globali, quello prodotto dalle discariche ammonta al 17%, quello proveniente dagli impianti di depurazione dell’acqua al 2%. Il gas viene di solito bruciato, perdendo una materia prima e peggiorando il riscaldamento globale. Non a caso Europa e Stati Uniti e altri 100 Paesi, nel corso dell’ultima Cop26 a Glasgow, hanno firmato il Global Methane Pledge, una collaborazione per tagliare questo tipo di emissioni entro il 2030.

Simile a quella che si sta promuovendo per l’anidride carbonica, l’estrazione del metano dall’atmosfera ha il potenziale di aiutare a rallentare il riscaldamento globale nei prossimi decenni. Una riduzione del 40% potrebbe attenuare il riscaldamento di 0,4 °C entro il 2050. Sono in esame diverse tecnologie di recupero: riduzione delle fughe nei pozzi e nelle miniere di carbone, membrane di grafene o zeolite che lo intrappolano nell’aria, catalizzatori che lo ossidano trasformandolo in metanolo. Gli esperti stanno però ancora verificandone l’efficacia.

Il procedimento studiato dagli scienziati di Stanford è già operativo. È stato dunque possibile calcolare il prezzo del cibo per pesci ottenuto con i batteri metanotrofici tramite gas proveniente dai pozzi di petrolio: 1.546 dollari per tonnellata, meno della media di 1.600 di quello tradizionale. Se invece il metano viene ricavato dai depuratori il costo è di 1.645 dollari per tonnellata, di poco superiore alla media.

Per ogni scenario la spesa maggiore è stata quella dovuta all’elettricità, pari al 45 per cento del totale. Il bioreattore è buio ma deve essere raffreddato di continuo. Potrebbe essere messo in atto un risparmio migliorando la dispersione del calore. In questo modo si otterrebbe una convenienza che permette di sostituire soia e altri nutrienti utilizzati.

Il risultato ottenuto è importante. Il pesce è una importante fonte di proteine e micronutrienti, il cui consumo è cresciuto di quattro volte rispetto al 1960, provocando la depredazione dei mari. Gli allevamenti per ora producono solo la metà di quello che viene consumato. In un futuro in cui questa domanda crescerà ancora, tanto che le stime prevedono un raddoppio entro il 2050, alimentare i batteri con il metano e farli diventare mangime per gli allevamenti aiuta risolvere due problemi contemporaneamente. E non si tratterebbe di un progetto pilota: in questo modo potrebbe essere fornito il 14% del mercato globale di cibo per i pesci, aiutando a risolvere la crisi alimentare e climatica.