L’intervento di Diletta Bellotti, attivista di 26 anni, a RepIdee 2022

 

Immaginatevi su di un cavalcavia che finisce nel vuoto, un vuoto che avvolge, la fine del mondo, concetto sublime, trito e ritrito, ma reale, così vicina: almeno la fine del nostro mondo, di quello che conosciamo e amiamo. Siamo sul cavalcavia, vediamo le auto in lontananza finire nel nulla, ci pare così lontano e continuiamo a sfrecciare pur di correre, non so dirvi neanche se sappiamo rallentare. Sul cavalcavia è pieno di macchine, sulla destra vedete il vuoto, dove le macchine, interrotto il ponte, precipitano, dietro di noi macchine infinite. Tutte sfreccianti, finché proprio noi non siamo quasi i primi, mancano giusto un paio di file di macchine, prima del nulla.

RepIdee 2022, l’appello di Diletta Bellotti per il clima: “Stiamo precipitando dal cavalcavia, tiriamo il freno a mano”

Ora noi abbiamo di base due sole scelte e tutti ci diranno che ne abbiamo mille e che la realtà è complessa e che siamo giovani e non capiamo o che siamo vecchi ed è troppo tardi per agire. La verità è che ci sono solo due scelte. La prima è precipitare nel vuoto, chi è stato inghiottito per primo sono gli ultimi: le risorse della terra, gli oceani, gli animali già estinti, quelli bruciati tra le fiamme in Australia come in Amazzonia, quelli che vivono dove le acque si alzano di più, dove la terra s’inaridisce più in fretta. Loro sono già nel vuoto. Estinti. E certo sono solo numeri, nonostante il cambiamento climatico sia la prima causa di sfollamento e migrazione al mondo. Sono numeretti certo. Solo persone, che ognuna, singola, di loro meritava di vivere, così come gli animali e le piante che son cadute nel vuoto perché qualcuno prima di loro, non ha tirato il freno a mano.

Ecco, ora voi siete nell’auto, continuate a sfrecciare, siete quasi alla fine. Non avete paura dell’abisso: è così onnipresente che quasi attira no? La fine? Andiamo! Poco prima della fine però, che essa ci appartenga o no, possiamo tirare il freno a mano. 200 all’ora e boom. Tamponamento a catena. Centinaia, migliaia di macchine dietro di noi si schiantano. Loro muoiono così, noi e altri pochi, cadiamo comunque nel nulla. Sacrificarsi. Questo è tirare il freno a mano, anche se finiremo comunque nel vuoto, vale la pena tirare il freno a mano.

Dobbiamo, necessariamente, inceppare quest’ingranaggio. Nel farlo tutto intorno a noi si distruggerà, ma non ciò che ci nutre, ciò che ci sazia, solo ciò che ci annoia, ciò che ci riempie. Il sacrificio è riscrivere la nostra civiltà, nel senso di civilizzazione, di aggregato umano, come un popolo libero e unito ai prossimi.

Dobbiamo necessariamente essere sabbia, detriti, non olio negli ingranaggi. Dobbiamo inceppare questa macchina mortale che è il nostro presente. Lo dobbiamo fare per permettere il futuro a tutte le generazioni che verranno, di esseri umani certo, ma di animali, di piante, del pianeta stesso che ci ospita. Voi penserete ora, ma questa è scemunita? Perché proprio noi dobbiamo sacrificarci?

Dobbiamo farlo perché non siamo i primi né gli ultimi ad averlo fatto, dimenticarlo è un sacrilegio spietato. Generazioni intere si son spente per la nostra libertà, alcune di loro prima di vedere la macchina incepparsi.