Non smettiamo di inquinare neppure quando moriamo. Le pratiche di sepoltura  e i rituali a essa collegati hanno infatti un elevato impatto ambientale. Prima di tutto il consumo di suolo, necessario per la costruzione dei loculi. Manca spazio per i cimiteri che devono diventare sempre più grandi. Nel Regno Unito per evitare un’eccessiva cementificazione, hanno persino pensato di destinare a questo scopo i bordi delle autostrade. I funerali prevedono una serie di servizi e prodotti come le lapidi e le tombe, i fiori, i viaggi necessari a trasportare i defunti e le bare che li contengono. In media in Italia muoiono ogni anno 600 mila persone, che si traducono in oltre 50 mila tonnellate di legno.

 

È inevitabile dunque che questo settore, che ha un valore di oltre 1,7 miliardi di euro, generi alte emissioni. Il minimo necessario, ovvero bara e lapide, corrisponde a una produzione di anidride carbonica paragonabile a quella prodotta da un’auto che viaggia per 4000 chilometri. Anche la cremazione consuma molta energia: per un solo corpo vengono prodotti oltre 250 chili di anidride carbonica. E non è un caso se sempre più persone la richiedono. Siamo a oltre il 28%, con un aumento del 6% ogni anno.


In molti Paesi stanno però emergendo alternative più ecologiche che rispettano l’ambiente e il paesaggio. Si tratta di metodi di trattamento delle salme che non consumano energia perché le considerano un materiale naturale, che si può decomporre, e di spazi che non hanno più nulla a che fare con i cimiteri perché sono parchi naturali. Questi sistemi hanno innumerevoli vantaggi: costano meno, non producono sostanze e gas inquinanti, riportano la morte a far parte del ciclo naturale della vita.

Il compostaggio umano

Nel 2020 lo Stato americano di Washington è stato il primo a permettere il compostaggio umano, seguito poi dalla città di Seattle e dal Colorado e dall’Oregon. È un processo del tutto simile a quello con cui si fa il compost con gli scarti di cucina. I corpi vengono inseriti in contenitori biodegradabili avvolti da una miscela di trucioli di legno, paglia ed erba medica e posti all’interno di una struttura dedicata. I batteri e gli insetti svolgono il loro compito e dopo circa un mese nulla rimane. Il suolo così ottenuto deve riposare ancora qualche settimana, poi viene consegnato ai famigliari, che possono utilizzarlo per concimare le piante.

Un designer olandese ha invece progettato una bara viva, costituita da un micelio fungino disidratato che assorbe anche eventuali sostanze tossiche compresi petrolio, plastica e metallo. È stata utilizzata per la prima volta in settembre 2020 ed è stata deposta nel terreno all’interno del cimitero Westduin dell’Aja.

L’acquamazione

C’è anche un altro metodo che appare ancora più promettente: l’acquamazione. A differenza dei precedenti non pone il problema di dove effettuare la decomposizione ed è invece simile alla cremazione perché le spoglie possono essere conservate in una piccola urna. È quello scelto per esempio da Desmond Tutu, l’arcivescovo sudafricano simbolo della lotta all’Apartheid e convinto ecologista. Si tratta di un processo di idrolisi alcalina, con una immersione del corpo in acqua e idrossido di potassio, che alla fine produce, come la cremazione, un mucchio di polvere.

“I  ‘cimiteri verdi’ sono una realtà già esistente in molti Paesi, sono costituiti da ampie aree verdi, in cui i corpi sono inumati e mai più spostati. Non sono sepolti a tempo determinato (come avviene normalmente nei cimiteri) e col tempo si integrano con il paesaggio circostante. Le salme sono “vestite” con tessuti naturali, e riposte in bare biodegradabili.

La capsula biodegradabile

Sono ormai una realtà consolidata in tutti i Paesi di cultura anglosassone e stanno diffondendosi anche nei Paesi europei, dicono Anna Citelli e Raoul Bretzel, i designer che hanno ideato Capsula mundi, una bara fatta di materiale biodegradabile a forma di uovo, al cui interno viene posto il corpo in posizione fetale. L’uovo viene piantato nella terra come un seme e al di sopra viene messa a dimora una pianta scelta in vita dalla persona e che sarà curata da parenti e amici. Così pian piano, albero dopo albero, l’area prescelta diventa un bosco, un bosco di memoria. “In questo modo si possono di nuovo mettere in contatto la terra e il corpo, che è composto di sostanze organiche. La terra su cui viviamo, su cui gli alberi crescono e da cui noi prendiamo nutrimento, si è creata nel tempo con la stratificazione di materiale organico, che in migliaia di anni subisce infiniti processi di mineralizzazione. Quello che vogliamo fare è non inibire questo processo naturale”, spiegano.

 

Nonostante si tratti di un progetto italiano, non è per ora possibile utilizzarlo nel nostro Paese. “L’Italia da questo punto di vista è indietro, c’è un disegno di legge che vuole aprire la strada a questa alternativa, ma “giace” in parlamento dal 2010. La legislazione Italiana invece, ancorata a dettami di impianto napoleonico, è molto restrittiva. Di fatto, oggi, ciò che si costruisce all’interno dei cimiteri sono strutture murarie, sia in terra sia in superficie, per il massimo utilizzo dello spazio. Il contatto con la terra è in pratica evitato sia con l’utilizzo di bare zincate, sia con la creazione di loculi sovrapposti, spiegano gli ideatori di Capsula Mundi.

La dispersione delle ceneri

Se da noi non si possono decomporre i cadaveri, si possono però utilizzare le ceneri come concime, per esempio con Urna Bios. È un contenitore composto di cocco, torba compatta e cellulosa. La capsula superiore contiene sia i semi della pianta scelta che un substrato vegetale che facilita l’emersione del germoglio mentre la capsula inferiore è dedicata alle ceneri del deceduto. Un vaso, dotato di irrigazione automatica, provvede a trasformare progressivamente il contenuto in humus che nutre l’arbusto o l’albero, oppure un fiore. “Dal punto di vista legale siamo in una zona grigia. Solitamente l’affido delle ceneri a casa viene fatto con un contenitore stagno sigillato e indistruttibile, ma può essere invece apribile se si desidera effettuare la dispersione. In questo caso non viene effettuata, ma si trasforma il contenuto”, dice Valter Fabozzi l’imprenditore funebre che la sta proponendo. C’è un’altra possibilità. “Nel nostro bosco, che si trova in provincia di Savona, è possibile interrare le ceneri sotto a un albero, sul quale verrà messa una targa di memoria. Secondo la legge non è possibile offrire un servizio di dispersione. Noi offriamo infatti solo la manutenzione degli alberi: la buca nel terreno viene fatta direttamente dai famigliari, dice Riccardo Prosperi di Boschi vivi.

 

Resta il fatto che in Italia ci sono questioni sanitarie, valori morali e religiosi che limitano le possibilità. “C’è una chiusura da parte della pubblica amministrazione a percepire che è in atto una forte spinta sia sociale sia imprenditoriale verso nuove soluzioni. La legge sulla cremazione e dispersione delle ceneri è obsoleta perché non tiene conto di quanto sia cambiata la società e di quanto si sia deteriorato l’ambiente in cui viviamo in questi ultimi vent’anni e molti progetti green non riescono a partire”, dice Consuelo Fabriani, architetto paesaggista e fondatrice di Studio A3paesaggio.

Per fare fronte a alle emergenze ambientali delle grandi città, come il consumo del suolo, la qualità dell’aria e la perdita della biodiversità, ha ideato “I am a Tree” un progetto di forestazione urbana che rivisita i luoghi della memoria attraverso il disegno di parchi urbani dove è consentito interrare le ceneri derivanti dalla cremazione in apposite urne biodegradabili ai piedi di un albero commemorativo, oppure conservarle in case cinerarie immerse nel verde: alberi quindi e non più lapidi. Attualmente la legge, ma ci sono delle differenze regionali, impone che la dispersione venga fatta solo nelle aree dei cimiteri, o in aree private, oppure nel mare. In ogni caso va chiesta una autorizzazione e va dimostrato che il defunto ne ha espresso la volontà quando era in vita.

“La dispersione delle ceneri in mare o al vento non aiuta l’elaborazione del lutto, dobbiamo sempre pensare a chi rimane e all’intima necessità di ognuno di noi di avere un luogo dove poter commemorare chi ci ha lasciato. È importante quindi che i luoghi della tradizione vengano ripensati in una chiave più contemporanea che tenga conto delle istanze ambientali e sociali del nuovo millennio. Penso che questa urgenza debba essere affrontata dal ministero della Transizione ecologica”, conclude Fabriani.