“La direzione è quella giusta. Il problema è la velocità a cui stiamo viaggiando: andiamo troppo piano, e se vogliamo fare in tempo dovremo correre tantissimo nei prossimi anni”. Francesco La Camera, direttore generale dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena) nei giorni scorsi ha avuto colloqui con molte delle autorità italiane coinvolte nella lotta ai cambiamenti climatici: i ministri Urso e Pichetto Fratin, i vertici di Cassa Depositi e Prestiti, il segretario generale del ministero degli Esteri, il capo degli sherpa italiani al G7. E con molti di loro ha usato un esempio “automobilistico”. “Se parti da Roma alle 12 e ai un appuntamento a Milano alle 17, vuol dire che hai 5 ore e devi mantenere una media di 120 km orari. Ma se la prima ora vai a 80, le quattro ore successive devi andare a 130, e se anche nella seconda ora vai a 80 nelle ultime tre le devi fare ì a 160…e così via. La stessa cosa sta succedendo con gli obiettivi climatici”.

Questa lentezza, secondo La Camera, fa sì che al momento “siamo assolutamente fuori del tracciato che dovrebbe portarci a cogliere il risultato indicato dagli Accordi di Parigi. La direzione è quella giusta: c’è una crescita continua delle rinnovabili, dunque la transizione è in atto. Ma la velocità della transizione non è sufficiente”. Eppure gli investimenti in fotovoltaico ed eolico stanno crescendo in modo quasi esponenziale. Proprio Irena ha recentemente pubblicato una analisi secondo la quale si è passati dai 263 miliardi di dollari del 2016 ai ai quasi 500 del 2022. “Ma non basta”, avverte La Camera. “La finestra di opportunità per centrare gli obiettivi di Parigi si sta chiudendo. E al momento siamo assolutamente fuori tabella di marcia”.

Abbandonando la metafora automobilistica, il direttore di Irena spiega che secondo l’Ipcc, il panel intergovernativo per i cambiamenti climatici, a livello globale occorrerebbe installare 10mila gigawatt di rinnovabili da qui al 2030 per tagliare le emissioni del 45% e stare a di sotto di 1,5 gradi di riscaldamento. Insomma più di 1000 gigawatt l’anno. “Ma ne stiamo installando molti meno”, avverte La Camera. “E quindi dovremo fare molto di più negli anni a venire”. Nei suoi dialoghi italiani, il numero uno di Irena, agenzia che ha sede a Abu Dhabi, ha sottolineato il ruolo cruciale dell’Africa nella transizione: “Due circostanze sono evidenti. Una è che l’Africa è e sarà la più importante power house per la produzione di energie rinnovabili e di idrogeno verde. La seconda è che l’Italia ha una vocazione naturale di legame tra Europa e Africa: potrebbe svolgere il ruolo di piattaforma di distribuzione”.

E’ un cavallo di battaglia di La Camera: in tempi di crisi climatica la cooperazione allo sviluppo dovrebbe essere declinata come l’aiuto a sviluppare tecnologie ed energie green. “Anche la Banca Mondiale e il Fondo monetario internazionale dovrebbero avere un ruolo maggiore nella costruzione delle infrastrutture e delle reti, soprattutto in Africa e nel Sud-Est Asiatico. Queste operazioni di infrastrutturazione sono anche interventi di sviluppo: oggi, se pure volessi produrre elettricità in Africa, non riuscirei a distribuirla e non ci sarebbe nessuno in grado di pagarla. Quindi occorre una sorta di Piano Marshall per l’Africa. E per questo è fondamentale il ruolo delle banche”.

Irena si propone come “facilitatore” dei contatti tra Paesi in via di sviluppo e i Paesi Ricchi per quando riguarda le infrastrutture per le rinnovabili. “Sia i ministri Urso e Pichetto Fratin che Cassa Depositi e Prestiti di sono detti molto interessati”, racconta La Camera. Però il governo italiano immagina per noi un futuro da hub europeo del gas, più che delle energie green prodotte in Africa. “L’Ipcc dice dal 2025 la produzione di gas deve diminuire, non lo dice Irena”, fa notare La Camera. “Ed è chiaro che, non solo in Italia ma a livello globale, bisognerebbe mettere in campo politiche coerenti con questo obiettivo: il gas deve raggiungere il suo picco nel 2025”.