“Il ruolo dei musei nella transizione ecologica va molto oltre l’adeguamento degli edifici per diminuire l’impronta carbonica, o la creazione di percorsi dedicati all’ambiente. L’intero patrimonio culturale serve a divulgare la sostenibilità, i musei sono leve del cambiamento”. Michele Lanzinger dirige uno dei musei che in Italia incarnano meglio questa funzione, il Muse di Trento, ed è presidente dell‘International Council of Museum Italia. Il suo lavoro per promuovere i musei sostenibili si concretizza perciò sia nel dirigere una tra le strutture più visitate in Italia, sia nell’impegno per promuovere buone pratiche nella rete museale nazionale.

 

Direttore, partiamo dalla definizione di museo, approvata da Icom lo scorso agosto a Praga, nella quale è entrato appunto il termine sostenibilità.

“Il terzo comma della definizione afferma: ‘Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità’. Questa dicitura significa che devono interpretare la loro missione attraverso un doppio canale: da un lato devono attuare le buone pratiche di sostenibilità in accordo con una società che va in questa direzione, attivandosi così per migliorare una molteplicità di aspetti nelle strutture; dall’altro devono creare partecipazione, consapevolezza e sapere collettivo, in modo da promuovere la cultura della sostenibilità”.

 

Possiamo fare qualche esempio di buone pratiche di sostenibilità?

“Spesso ci si limita a considerare la classe energetica dell’edificio che ospita una collezione, mentre un museo sostenibile deve essere più che mai integrato nel territorio. Così, bisogna  assicurarsi che l’accessibilità sia confacente, con percorsi pedonali protetti per cui almeno per i musei ci sia una riappropriazione dello spazio urbano. E non sottovalutiamo il ruolo dei musei come motori del turismo, per cui va pensato in termini di sostenibilità anche il movimento che intorno ai poli museali si sviluppa”.

 

Quali invece le azioni per promuovere la cultura della sostenibilità?

“Intanto, collegandomi proprio al rapporto con il territorio, il museo non è soltanto un elemento accessorio, ha una dimensione sociale per cui non è un luogo ‘dedicato a qualcosà ma ‘dedicato a qualcuno’. In questo, bisogna pensare i musei non come conservatori di beni del passato, ma attori che guardano al futuro, alla necessità di prestare attenzione al patrimonio culturale non per l’idealizzazione di un passato lasciato a se stesso, ma per migliorare la società. Faccio un esempio di come alcuni temi non connessi alla sostenibilità in modo diretto, ma presenti nei musei, siano centrali per la lotta al cambio climatico. Nei musei non si passa soltanto il messaggio ‘salviamo il panda’, si parla di apprendimento contro l’abbandono scolastico, di decolonizzazione, di giustizia. Sono tutti filoni che rientrano a buon titolo nel campo della giustizia climatica e che spesso non vengono riconosciuti”.

 

Questo impianto teorico quanto è applicabile nella complessità della situazione italiana?

“Non voglio soffermarmi sulla questione dei finanziamenti e della mancanza o meno di fondi, perché ormai è quasi banale dire che in Italia la cultura è sottofinanziata. Infatti la nostra azione mira proprio a far sì che scuole, edifici pubblici, biblioteche e appunto musei siano considerati luoghi chiave per la sostenibilità. E ritorno ancora alla struttura museale inserita nel territorio: quando i miei colleghi riusciranno a mostrare la loro utilità per la transizione ecologica, il museo non sarà luogo da finanziare per forza, ma un soggetto attivo con valore politico, capace di svolgere funzioni che anche le amministrazioni locali riconosceranno”.

 

È ciò che è riuscito a fare il Muse?

“La formula che lo ha reso così efficace e ci ha fatto guadagnare mezzo milione di visitatori a dieci anni dall’inaugurazione è la somma di diversi elementi. Non possiamo negare che un ruolo lo gioca la dimensione architettonica bellissima creata da Renzo Piano, che ha fatto da traino, però ora, senza nulla togliere al maestro, non c’è più solo questo. Il Muse è come la Quinta di Beethoven, anche se la conosciamo vogliamo risentirla: da noi la gente torna perché può scoprire e riscoprire delle cose, si sente protagonista, è un museo chiacchierone, dove una famiglia passa volentieri del tempo. Poi c’è l’aspetto scientifico, e qui parliamo della sostenibilità non soltanto per la nostra struttura: abbiamo lavorato perché la nostra ricerca scientifica fosse funzionale alla documentazione ambientale ecologica del nostro territorio e non solo”.

 

Il Muse è anche il capofila del progetto “Museintegrati“. In cosa consiste?

“Si è conclusa la prima fase, che ora rilanceremo. Grazie al sostegno dell’ex Ministero per la transizione ecologica e assieme a ICOM e ANMS (Associazione nazionale musei scientifici) abbiamo lavorato per sviluppare un network di trenta musei in tutta Italia, di dimensioni diverse, attivi su temi della sostenibilità. Condividiamo laboratori per scambiarci le azioni che ciascun museo ha fatto sul territorio, in modo da creare alleanze e opportunità. Queste alleanze non hanno prodotto soltanto collaborazioni con gli amministratori locali, ma anche documenti comuni con gli attivisti climatici. So che molti preferirebbero limitarsi ad aumentare il numero di visitatori, ma per noi è più importante il nostro ruolo come luoghi di coesione sociale e baluardi contro la solitudine personale”.