Da un lato ci sono i consumatori, dall’altro le aziende (e i governi che ne dovrebbero regolare gli affari). Quello che portiamo nel piatto, contaminanti inclusi, dipende essenzialmente da questi due attori. Così se parliamo di micro e nanoplastiche, una delle strategie per cercare di ridurre l’esposizione potrebbe essere quella di chiedere alle aziende produttrici di packaging per il cibo, di includere dei test per capire quante di queste sostanze vengono rilasciati dai loro prodotti. È questa la conclusione di un’analisi guidata da alcuni esperti del The Food Packaging Forum, organizzazione dedicata a valutare il possibile impatto sulla salute e sull’ambiente degli imballaggi alimentari.

Tutto quello che sappiamo sulle microplastiche e quanto inquinano

La raccomandazione emerge dopo aver passato in rassegna diversi studi relativi alle contaminazioni di micro e neoplastica dal packaging usato per i cibi, come lattine, cartoni, bottiglie, involucri e scatolette varie. Nelle loro analisi sono finiti anche contenitori all’apparenza non fatti tutti di plastica, ma contenenti alcune parti – per esempio nelle chiusure – che potevano contaminare i cibi. In generale sono stati considerati articoli contenenti plastica e che potevano venire a contatto con il cibo, precisano gli esperti. Gli autori hanno quindi considerato la presenza di micro e nanoplastiche e la loro natura chimica. Il risultato di questo lavoro – descritto sulle pagine di npj Science of Food – è un database, che riassume per categoria di prodotto quanto osservato.

G&B Festival, Alex Bellini: “Un mare di plastica”

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Al di là dello strumento in sé, il principale messaggio degli autori è che esiste un rilascio di queste micro e nanoparticelle legato al normale utilizzo dei contenitori usati per i diversi cibi (sebbene la letteratura in materia sia un po’ scarsa, ammettono). In alcuni casi, aggiungo gli esperti, alcune azioni e comportamenti possono aumentare il rilascio di queste particelle: per esempio il riscaldamento, il lavaggio o le azioni ripetute di apertura e chiusura. Alcuni studi, poi, suggeriscono che il rilascio di nano e microplastiche sia legato ad alcuni polimeri più che ad altri, ma gli autori sottolineano come servano più ricerche in materia. Anche perché alcuni prodotti, e relativi materiali, sono stati più studiati di altri.

Anche le gomme da masticare rilasciano microplastiche

Lo studio non fa valutazioni in merito alla pericolosità di queste micro e nanoparticelle, ma sottolinea l’importanza di indagare il tema più a fondo dal momento che possono essere considerate come “miscele chimiche complesse”, si legge nel paper. In generale, concludono gli autori, le perplessità sui possibili effetti sulla salute delle nano e microplastiche dovrebbero indurre a limitarne l’esposizione. Anche in considerazione di alcuni trend alimentari che possono aumentarne l’esposizione, come il consumo di cibi ultraprocessati (e ultraesposti a diversi materiali contenenti plastiche, scrivono). Ecco allora che chiedere dei test per valutare il loro rilascio da tutto ciò che viene a contatto con i cibi potrebbe essere un buon punto di partenza.