Il grande flop della plastica riciclata. Nel 2021 negli Stati Uniti appena il 5% torna a vivere. Vale a dire che il 95% dei 51 milioni di tonnellate di bottiglie, buste, confezioni e imballaggi usati dagli americani è finito nelle discariche, senza distinzione alcuna, o peggio ancora negli oceani e nell’atmosfera. 


L’allarme arriva dall’ultimo dossier di Greenpeace USA, che non si limita a stigmatizzare il comportamento poco diligente dei cittadini. Il problema, denuncia l’associazione ambientalista, è a monte. E anche se gli americani cambiassero tutt’a un tratto marcia, smettendo una pigrizia diventata quasi proverbiale, il problema resterebbe: negli Stati Uniti la stragrande maggioranza della plastica da imballaggio non soddisferebbe infatti i criteri che la Ellen MacArthur Foundation indica come requisiti base per il riciclo: requisiti esplicati nel Global Commitment, che prevede una serie di obiettivi ambiziosi, in tema di economia circolare per la plastica, da raggiungere entro il 2025.

Ma la strada, a quanto pare, è in salita. E anche le materie plastiche considerate riciclabili, a cominciare dalle diffusissime bottiglie in PET o in polietilene ad alta densità, consentono una percentuale di riciclo inferiore al 30%, la soglia minima perché un prodotto, secondo la fondazione, venga definito realmente riciclabile. E insomma ce n’è abbastanza perché Greenpeace ponga l’accento su un problema considerato ancora sottostimato: “Per decenni aziende come Coca-Cola, PepsiCo, Nestlé e Unilever hanno promosso il riciclo della plastica come soluzione ai rifiuti di plastica. – spiega l’attivista Lisa Ramsden – Ma i dati sono chiari: in pratica, la maggior parte della plastica non è riciclabile.

La vera soluzione? Passare a sistemi di riuso e ricarica. Invece di affidarsi al cosiddetto greenwashing e fuorviare il pubblico americano, l’industria dovrebbe sostenere l’ambizioso Trattato globale sulla plastica che potrebbe porre finalmente fine all’era della plastica”.

Di cosa si tratta? Di una sottoscrizione, ancora in fase di elaborazione, che faccia seguito alla storica risoluzione concordata a marzo dall’Assemblea delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unea) a Nairobi, quando 175 Paesi hanno approvato all’unanimità un documento che impegna gli Stati membri a elaborare entro il 2024 uno “strumento internazionale giuridicamente vincolante” per “porre fine all’inquinamento da plastica””. Il documento vincolerà i firmatari, regolando a livello globale le politiche relative a produzione, consumo e smaltimento di prodotti di plastica.

Una misura finalmente drastica per porre fine alla crescita esponenziale dei rifiuti in plastica, destinati altrimenti a triplicare entro il 2060, come preconizzato dall’Ocse.

“L’auspicio è il prossimo round di negoziazioni sul Trattato globale sulla plastica, che si terrà in Uruguay a fine mese, sia il primo importante appuntamento a livello globale che spinga per andare verso questa direzione”, dice Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. “Quanto ai dati sugli Stati Uniti, certificano il fallimento del sistema di riciclo delle plastiche in uno dei Paesi in cui si registrano i tassi più elevati al mondo di produzione pro capite di rifiuti in plastica. – aggiunge – In Italia, dove per fortuna vige un sistema più efficiente di raccolta e recupero delle materie plastiche, i numeri non sono così allarmanti. Anche da noi, però, non si può stare troppo sereni. Stando ai dati più recenti diffusi da Corepla – il consorzio italiano che recupera e ricicla gli imballaggi in plastica che separiamo a casa – solamente circa la metà delle plastiche che differenziamo trova impiego in nuovi prodotti attraverso il sistema di riciclo”. Appena il 50%, insomma. Non c’è da vantarsene.

“Il fallimento di questo sistema su scala globale è una delle principali problematiche alla base dell’inquinamento da plastica nell’ambiente. – denuncia ancora Ungherese – Se andiamo ad analizzare i dati storici a partire dagli anni ’50, scopriamo che solo il 9% di tutta la plastica prodotta è stato riciclato. Sono numeri che certificano un fallimento”.

E dunque la soluzione principale al problema, secondo Greenpeace, non è riciclare, checché ne dicano aziende e governi. “In realtà, come documentano numerosi studi e ricerche internazionali, occorre invece abbandonare in modo convinto la cultura del monouso in plastica per effettuare una vera transizione verso l’uso di imballaggi che siano durevoli e soprattutto riutilizzabili più e più volte”, chiosa il responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia.