Siccità, cicloni, salinizzazione delle acque dolci, innalzamento del livello del mare, conflitti scatenati per il controllo delle risorse idriche. I cambiamenti climatici stanno costringendo ogni anno milioni di persone ad abbandonare le proprie case a causa di una catastrofe di natura ambientale. Individui, famiglie e perfino intere popolazioni costrette o spinte all’emigrazione. A dichiararlo in occasione della Giornata del rifugiato che si celebra il 20 giugno è l’Unhcr, lagenzia delle Nazione Unite specializzata nella gestione dei rifugiati, che dice chiaramente: “L’incredibile cifra di 100 milioni di persone è stata costretta a fuggire dalle proprie case in tutto il mondo“. Le cause principali? L’insicurezza alimentare mondiale, la crisi climatica, la guerra in Ucraina oltre alle emergenze dall’Africa all’Afghanistan.

Le migrazioni ambientali sono un fenomeno estremamente complesso e le varie tipologie di disastri naturali hanno effetti diversi sulla mobilità. Acuni fenomeni causati dal cambiamento climatico (alluvioni, siccità ed eventi meteorologici estremi) sono immediati e scatenano di conseguenza reazioni migratorie immediate. Altri invece sono lenti e possono influenzare la mobilità umana anche a distanza di decenni o secoli, come nel caso dell’erosione delle coste, dell’innalzamento del livello del mare, dello scioglimento dei ghiacciai e della desertificazione.

E se una persona su 78 sulla Terra è sfollata, con un aumento dell’8% rispetto al 2020 e ben più del doppio rispetto a 10 anni fa, come afferma l’Unhcr nel 2020 gli sfollati climatici costituivano il 75,8% di tutti i migranti a livello globale. Persone che scappano soprattutto dopo le conseguenze dovute a un disastro naturale e che per la maggior parte si spostano da una regione all’altra, senza oltrepassare i confini.

Alluvione, causa principale di migrazione ambientale

A questo proposito, ad aver causato il numero maggiore di sfollati è l’alluvione. Tra il 2008 e il 2020, le alluvioni hanno infatti generato oltre 156 milioni di migranti interni. Seguono le tempeste (119,2 milioni) e i terremoti (33,5 milioni). Stando all’ultimo Global Report on Internal Displacement dell’Internal Displacement Monitoring Centre, in tutto nel mondo ci sono circa 40,8 milioni di sfollati interni la maggior parte dei quali si sono spostati per cause ambientali: sarebbero oltre 203 milioni di sfollati interni collegati a cause ambientali negli ultimi 8 anni.

Rifugiati e questione ambientale

Il fenomeno era già stato individuato anni fa. Nel 1993, l’Unhcr aveva identificato il degrado ambientale tra le quattro principali cause di emigrazione, insieme a instabilità politica, tensioni economiche e conflitti etnici. Nel 2001, secondo il World Disasters Report, il numero di profughi ambientali aveva superato il numero degli sfollati prodotti dai conflitti armati. “Le conseguenze sociali dei processi ambientali sono una delle più grandi sfide che la comunità internazionale dovrà affrontare nei prossimi anni” ed era 21 anni fa. Oggi sempre secondo l’Unhcr entro il 2050 sul Pianeta ci saranno fino a 250 milioni di profughi ambientali in movimento.

Le conseguenze del conflitto

Isolare il fattore ambientale da altri elementi delle migrazioni è molto complicato: va a interagire con altri fattori socio economici, politici e culturali. I cambiamenti ambientali influenzano tutti questi fattori in vario modo. Lo dimostra quello che sta accadendo nel mondo. “La cifra di 100 milioni di sfollati – sottolinea l’Unhcr – è stata raggiunta a maggio, 10 settimane da quando l’invasione russa dell’Ucraina ha provocato una carenza globale di cereali e fertilizzanti da parte di questi principali esportatori”. I soli ucraini in fuga dalla guerra sarebbero, stando alle cifre comunicate dall’Alto commissario Filippo Grandi, due milioni (quasi il 5% dei 44 milioni di abitanti del Paese). Ma le conseguenze del conflitto tracimano ben oltre i confini del Paese aggredito. L’anno scorso l’Ucraina è stato il quinto Paese esportatore di grano, la Russia il primo, per non parlare degli altri cereali impiegati principalmente per l’allevamento. Tra i Paesi più minacciati dallo stop alla fornitura di cereali ucraini i più vulnerabili al momento sembrerebbero essere quelli Africani. Una vulnerabilità che si tradurrà quasi certamente in un aumento delle migrazioni.