Questa è la quarta puntata della nostra inchiesta sul Piano di adattamento climatico pronto dal 2018 ma mai adottato nel susseguirsi di 4 governi. Le puntate precedenti sono: “L’Italia ha un piano di adattamento climatico ma è rimasto in un cassetto”; Il Rappresentante dell’Italia sul clima all’Onu e il piano mai nato; “Cingolani che fine ha fatto il piano sul clima? Il WWF incalza il ministro”

“Dopo quattro governi e un’estate in codice rosso, il Piano di adattamento ai cambiamenti  climatici è ancora solo un dossier sulla scrivania dei ministri. E a chi domanda a cosa serve e perché sia cosi importante approvarlo, rispondo con un esempio. Se non interveniamo velocemente sull’emergenza climatica, mettendo in campo azioni concrete sui territori, nel giro di 20 o 30 anni alcuni prodotti che hanno reso famoso il made in Italy nell’enogastronomia, tra cui alcuni vini prodotti nelle zone più calde, cesseranno di esistere”. Stefano Ciafani, è presidente nazionale di Legambiente dal 2018. Più o meno dallo stesso periodo in cui il Piano di adattamento (Pnacc)  che forniva sia un’analisi del rischio, sia una serie di proposte di intervento  divise per 18 settori, veniva sottoposto dall’allora ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti ad una consultazione pubblica. Con insieme la promessa che nel giro di qualche mese sarebbe diventato operativo. Da quel momento però  l’iter di approvazione si è arenato. Dopo pochi mesi il governo Gentiloni è caduto, lasciandolo in eredità ai governi Conte 1 e 2 con il ministro-generale Sergio Costa, per poi finire sulla scrivania di Roberto Cingolani, ministro questa volta alla Transizione Ecologica. “Che di quel Piano non ha più parlato, lasciandone però traccia sul sito del ministero con la vecchia data 2018”.

E adesso che succederà con la caduta anche del governo Draghi? 

“Succede che mentre l’Italia combatte con la siccità e gli incendi, il nostro, è l’unico tra i grandi Paesi europei che continua a non avere un Piano, rincorrendo così le emergenze senza una strategia chiara di prevenzione. Sentiamo ripetere che questa è l’estate più calda degli ultimi decenni, ma se continuiamo nell’immobilismo potrebbe essere ricordata come la più fresca del decennio”

L’Italia rischia dunque di rimanere indietro?

“La vicenda del Piano che ci avrebbe aiutato ad affrontare non solo l’impatto sociale ma anche quello economico, dovuto ai cambiamenti climatici è esemplare. Si era detto di appprovarlo nel 2018 e siamo andati avanti procrastinando la data. Dispiace dirlo, ma il ministro Cingolani, almeno dal nostro punto di vista, non ha risposto alle aspettative. Queste sono scelte politiche. E poi non è l’unico piano che deve essere ripreso in mano e che riguarda l’ambiente, fatto questo che raddoppia il ritardo per l’Italia nel confronti dell’Europa”

Quale?

“Il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pniec), che avrebbe dovuto cambiare la politica energetica e ambientale nel nostro Paese: è stato approvato due anni fa, ma è già vecchio in alcune parti. Mentre nel Piano italiano si parla ancora della riduzione delle emissioni di gas entro il 2030 del 40%, l’Unione Europea ha nel frattempo, alzato la riduzione al 55%. Non solo, con l’approvazione del Repower Eur nel maggio scorso, ossia il Piano per la transizione verde varato durante le tensioni del mercato energetico globale e che punta a porre fine entro 5 anni alla dipendenza dell’Unione dal gas russo, questo limite è stato alzato di nuovo da Bruxelles. Non solo. Al centro del Repower Eu c’è poi l’impegno dei 27 sull’incentivazione  delle rinnovabili. E qui il ritardo per l’Italia diventa lunghissimo, mettendo anche in conto che siamo nel pieno di un’altra crisi di governo. Insomma, l’Europa ci chiede a gran voce di accelerare sulla transizione ecologica, gli anni per noi da qui al 2030 saranno cruciali”.

Che impatto avrà tutto questo nella vita delle persone se non stabiliamo al più presto  dove e come intervenire?

“La cronaca recente dimostra cosa significa la mancanza di prevenzione rispetto ai cambiamenti climatici. Sulla siccità ad esempio, sapevano già da gennaio che il Po era sotto i limiti, ma non abbiamo fatto nulla di veramente decisivo per affrontare il problema. Più che altro sarebbe stato importante avere il Piano di adattamento ai cambiamenti climatici per poter intervenire con una cabina di regia e tutto il resto. Quello che sta accadendo questa estate dimostra anche quanto siano elevati i costi economici dovuti agli eventi atmosferici estremi. E’ un bagno di realtà. Se non interveniamo, l’impatto sociale e economico nei prossimi anni sarà disastroso”.

Quali saranno secondo lei le priorità che dovrà affrontare il prossimo ministro della Transizone ecologica?

“Spero che seguirà innanzitutto l’agenda dettata dall’Europa sulla transizione energetica e l’adattamento. Dobbiamo però anche noi capire che non sono parole vuote, ma entrano nella vita delle persone e che sono in grado di influire sui bilanci delle imprese, di far sparire prodotti dal mercato e dalle nostre tavole, cambiare il nostro modo di vivere. Siccità, dipendenza energetica, impongono cambiamenti strutturali, investimenti, innovazione, nuove tecnologie. Siamo il paese arrivato più in ritardo sulle energie rinnovabili. Lo stesso vale per il clima”.