Se qualcuno regalasse al Grinch un piumino di Patagonia, realizzato con le reti da pesca riciclate, persino il suo cuore verrebbe immediatamente riscaldato da una rinnovata anima green. Difficile resistere ai fili invisibili che ci legano ai destini dell’oceano e della fauna marina. E così è stato anche per la nota azienda statunitense, che più di altre negli anni ha sposato la causa ambientalista. Peraltro il suo fondatore Yvon Chouinard, ricordando che “la Terra è ora il nostro unico azionista”, ha ceduto recentemente il suo intero pacchetto azionario a due entità che si battono per proteggere la natura e la biodiversità, nonché supportare le comunità e contrastare la crisi ambientale.

“Con Netplus trasformiamo uno dei fattori più dannosi dell’inquinamento da plastica nei mari in qualcosa che potrai indossare per sempre”, dice Patagonia. Netplus è un nylon riciclato proveniente dalle reti da pesca gettate via e raccolte nelle comunità di pescatori del Sudamerica. Normalmente finirebbero negli oceani, andandosi ad aggiungere alle 8,8 milioni di tonnellate di plastica (soprattutto monouso) che vengono gettate in mare ogni anno. Senza contare che gli scienziati stimano che le attrezzature da pesca siano responsabili, sempre ogni anno, della morte o ferimento di più di 650.000 animali marini.

 

La storia di Bureo

Netplus nasce grazie al lavoro di Bureo (onda nel cileno dei nativi), una piccola società fondata nel 2013 a Concepción da ingegneri surfisti giramondo. Negli ultimi cinque anni il materiale è stato ulteriormente messo appunto attraverso Tin Shed Ventures, il fondo di venture capital di Patagonia. Inizialmente i fondatori Kevin Ahearn, David Stover e Ben Kneppers avevano pensato di raccogliere la plastica lungo le spiagge, riciclarla, trasformarla in un prodotto da vendere e creare così un’attività commerciale. Ma una volta trasferiti dall’Australia al Cile per lavorare a un progetto del governo che si occupava di sostenibilità nella pesca “è stato allora che ci siamo resi conto di tutto il flusso di rifiuti che viene prodotto da questo comparto”, ha spiegato Kevin Ahearn.

E così con il vantaggio di puntare sulla raccolta di un solo tipo di manufatto, praticamente identico in tutto il mondo, è stata coinvolta la comunità di pescatori cileni. “Strofinavamo, pulivamo e smistavamo le reti, poi le portavamo a un’azienda di riciclo che avevamo ingaggiato per trasformarle in pellet. Una volta trasformate le reti in pellet, potevamo usarle per produrre oggetti con lo stampaggio a iniezione”, hanno ricordato i fondatori. Pellet che poi possono essere trasformati in prodotti, componenti o fibre di plastica fusa. E così hanno iniziato a produrre un piccolo skateboard in plastica di tipo cruiser ma era troppo di nicchia e così grazie all’aiuto di Patagonia “abbiamo trasformato il modello della nostra azienda da marchio di prodotti a fornitore di materia prima”.

Il primo nylon tradizionale sostituito con il Netplus è stato quello delle visiere e strutture dei cappellini. Poi con lo sviluppo si è giunti a un tessuto tecnico per giacche, piumini e anche i leggins Patagonia. Bureo è andata oltre perché con questo materiale Trek realizza il portaborraccia per le sue mountainbike, Costa del Mar una linea di occhiali da sole, Humanscale sedie da ufficio e Jenga una linea di giochi sostenibili.

Uno dei limiti del progetto è che non esiste una macchina in grado di passare al setaccio la rete e individuare ogni minimo residuo da eliminare, quindi bisogna procedere a mano. “Abbiamo un team composto da 16-20 persone che pulisce da due a tre tonnellate di reti al giorno”, ha sottolineato Ahearn. “L’anno scorso abbiamo raccolto e trattato nei nostri stabilimenti più di 700 tonnellate di reti da pesca, ossia l’equivalente di 65 container da 6 metri di materiale esportato: si è trattato di un grande traguardo per noi”.

L’obiettivo futuro però è di espandere le attività al Perù e poi successivamente in Ecuador, Messico e Stati Uniti. In sintesi salire da 700 tonnellate all’anno a circa 2mila tonnellate all’anno.