Era il 1752 quando Benjamin Franklin metteva a punto il suo parafulmine, ma la ricerca per smorzare i potenziali pericoli derivanti dai fulmini non si ferma. E produce risultati potenzialmente promettenti: nei giorni scorsi, per esempio, sulle pagine di ArXiv è apparsa la bozza di uno studio che scommette sul futuro dei laser come strumento per proteggerci dai fulmini. Dimostrando, a detta degli autori, che sì i laser possono essere usati per guidare le “scariche elettriche dei fulmini a distanze considerevoli”.

Superare Franklin come modello di protezione fissa nei confronti dei fulmini, ma anche l’idea dei razzi usati per innescare i fulmini come sistema per controllarli (i cosiddetti lightning rocket) è esattamente nelle intenzioni dei ricercatori dietro al progetto Laser Lightning Rod, guidati da Jean-Pierre Wolf della University of Geneva e saliti agli onori della cronaca lo scorso anno, di questi tempi. La scorsa estate, infatti, era stato acceso un parafulmine laser sopra le montagne svizzere per dare avvio a esperimenti di controllo dei fulmini.

Come? L’energia rilasciata con gli impulsi laser, spiegavano i partecipanti al progetto, crea dei canali nelle nuvole, i cosiddetti filamenti laser, che rappresentano delle vie capaci di guidare i fulmini quando si generano. Questi canali, scrivono oggi gli autori, sono infatti delle strade privilegiate per le scariche elettriche, in quanto presentano delle zone a bassa densità di aria a maggiore conducibilità elettronica. Questo processo inoltre può essere controllato a distanze notevoli, fino a un km, aggiungono.

Quel paper su AxXiv pubblicato oggi presenta i risultati di questa campagna di test avviata la scorsa estate, con un laser installato vicino a una torre per telecomunicazioni alta 124 metri sulla montagna Säntis, colpita circa un centinaio di volte l’anno da fulmini e dotata di parafulmine. Il laser usato è stato sparato proprio in prossimità della punta della torre, spiegano i ricercatori, durante i temporali che sono avvenuti nel raggio di tre km dalla torre, per un totale di più di sei ore. Gli scienziati hanno poi utilizzato di sistemi – come telecamere ad alta velocità e interferometria – per seguire i fulmini. E i dati raccolti mostrerebbero appunto che i canali creati grazie ai laser riescono a guidare i fulmini, a distanze considerevoli.

“Questo lavoro – scrivono – getta le basi per nuove applicazioni atmosferiche di laser a impulsi ultracorti e rappresenta un passo significativo verso lo sviluppo di un sistema di protezione da fulmini basato sui laser per aeroporti, basi di lancio e grandi infrastrutture”. Anche se prima servirà comprendere diversi aspetti, come nota Martin Uman della University of Florida, esperto di fulmini, sul New Scientist. Come capire se il laser inneschi del tutto il fulmine o serva solo a guidarne una parte del tragitto.