Quarantatré anni di grinta e talento, la chef triestina Antonia Klugmann, oltre a preparare piatti d’eccellenza, ama occuparsi del suo giardino e studiare le erbe selvatiche dalle quali trae ispirazione per i suoi piatti. Insieme al WWF  inaugura la rubrica “Quattro stagioni di natura a tavola” in cui, attraverso alcune ricette scritte da lei, racconterà il mondo selvatico delle piante.

Quando e come nasce la sua vocazione per la cucina?

“Per ogni persona le passioni nascono da lontano. Per me la cucina è stata sempre fondamentale in casa. La mia famiglia è triestina ma avevo un nonno pugliese, un altro di origine ebraica e una nonna di Ferrara. La mia professionalità è nata però in maniera indipendente in quanto non ho una famiglia di ristoratori alle spalle. Durante l’università la cucina è diventata un’ossessione. Non ero legata a un’idea casalinga ma direi solo professionale e parliamo di ben 22 anni fa. In quegli anni lavorare in cucina non era così glamour come adesso. Ho iniziato come lavapiatti e poi sono diventata imprenditrice a 26 anni. Ora ne ho 43”.

Imprenditrice a soli 26 anni, ora la notorietà come chef. La sua è la storia di un successo, è d’accordo?

“Mi ritengo molto fortunata. Mia sorella Vittoria dice sempre che gioco. In questi ultimi 23 anni non ho mai pensato alla cucina come a un lavoro. Io mi sento sempre piena nella mia attività lavorativa e nella mia vita. Sono diventata un’imprenditrice e ho affrontato dei momenti complicati, ma se costruisci un percorso coerente in qualche modo ti sembra di dare un senso a quel tutto. Qualsiasi lavoro può essere visto in quest’ottica. Posso dire che non smetto mai di studiare. Mi relaziono costantemente con una parte intima di me che è in continuo mutamento. Se gioco a tennis o scatto delle foto e ciò può darmi energia anche nella mia vita lavorativa è una grande fortuna. Mi autoalimenta e mi offre nuovi stimoli”.

Quando ha iniziato ad adottare il foraging nei suoi piatti?

“Lo chiamiamo così per un’influenza anglosassone ma non c’è una regione in cui la cucina non sia impregnata da questo aspetto. Nel 2005 ho avuto un incidente d’auto che mi ha costretta a casa un anno. In quei mesi vivevo in campagna e facevo delle passeggiate con i libri. Mica c’erano le app come adesso. Andavo in giro ad osservare le erbe e mi documentavo”.

Quali sono le sue erbe selvatiche preferite?

“In ogni stagione ci sono erbe diverse. La stessa erba si modifica tanto nel corso delle stagioni. In primavera il silene è fantastico. Io adoro le erbe aromatiche. Amo il pane, la cicoria selvatica e un uovo o una zuppa con la cicoria e le patate. È un tipo di dieta che mi piace ed è molto italiana”.

L’utilizzo di erbe selvatiche apporta sempre dei benefici all’ambiente?

“Premetto che non raccolgo niente di raro. Tutto ciò che lo è va lasciato a terra per un suo rinnovo. Invito tutti a tagliare una pianta e poi a osservare quanto tempo impiega per crescere. Bisogna attingere dalla natura con consapevolezza. Penso all’incapacità di quanto si è distruttivi con l’ambiente e a quanto molto sia fatto in maniera non consapevole. Far vedere un’erba, una patata o un carciofo serve anche a spingere le persone a vedere che non è necessario comprare grandi cose: in cucina bastano degli ingredienti comuni. Personalmente non cerco l’originalità a tutti costi o l’estrema difficoltà tecnica nella mia cucina. La vera sfida è scegliere qualcosa di diverso. Sono una grande fan del giardino selvatico. La continua interazione con ciò che c’è attorno a noi crea un concetto di “bello” che è diverso da ciò che è tradizionale. Quando vedo argini pieni di felci sembrano perfetti perché è la natura che lo è. Le piante selvatiche non hanno bisogno di acqua e di particolari risorse ma di un suolo ricco e poca pioggia. La comprensione degli ingredienti e della stagionalità mi ha aiutata tanto nel mio lavoro”.

Quanto è importante la sostenibilità nella sua vita?

“Il fatto di relazionarsi sempre con il tempo, le risorse economiche e gli ingredienti mi danno una visione oggettiva del percorso che devo intraprendere. L’acquisto di prodotti da fornitori locali è il primo passo. La sostenibilità è un processo quotidiano. Tra dieci anni spero di essere una cuoca migliore grazie allo studio degli ingredienti, ma il giardino è una grande scuola. Ho anche un frutteto che insegna a mettere in relazione il proprio ego con qualcosa di molto più importante”.

Quali sono le azioni green della chef Klugmann durante la giornata?

“Si parte sicuramente dal menu. La costruzione del mio piatto è circolare: gusto e giusto impiego delle risorse. Nel tipo di cucina che faccio io la preparazione può occupare delle ore. Sono piatti creativi, interessanti che giustificano il viaggio ma poi devono avere anche un senso tecnico. In cucina sono sempre presente. Il mio lavoro è come un sassolino in uno stagno. Il primo cerchio è il rapporto con il cliente. Poi c’è l’insegnamento ossia il racconto di cosa si fa in cucina. Poi c’è il rapporto con i propri fornitori valorizzando il proprio territorio. Infine c’è la parte divulgativa e qui subentra la mia collaborazione con il WWF”.

Puoi raccontarci questa sua nuova esperienza?

“Il nostro intento è far tornare le persone in contatto con il mondo selvatico delle piante, riscoprendo specie che passano inosservate durante le nostre passeggiate nelle aree verdi o che spesso addirittura vengono considerate infestanti e quindi diserbate, strappate via o calpestate. Vogliamo informare su come raccoglierle e utilizzarle a tavola, per arricchire i propri piatti nel rispetto della natura e degli equilibri dell’ecosistema. Parlerò di ciò che faccio al ristorante e offrirò delle tecniche molto basiche che possono essere usate per altre ricette. Poi ognuno li utilizzerà come meglio crede”.

C’è qualcosa che vorrebbe realizzare a breve?

“Lo sto realizzando adesso. Stiamo ristrutturando un mulino del 1650 accanto al mio ristorante L’argine di Vencò (Gorizia). Rappresenta l’unione tra antico e moderno ed è un mio sogno da sempre. All’interno ci saranno quattro camere. L’idea di costruire un luogo tutto per sé è la chiave per capire come sono diventata imprenditrice. Costruirsi la propria stanza è libertà. Questo per me è fare impresa”.