“E’ fondamentale insistere perché la lotta alla crisi climatica sia messa al centro dell’attenzione anche in Italia e la Petizione ha il grande pregio di muovere positivamente le acque confuse del dibattito di questo periodo”. Così Maurizio Martina, vicedirettore dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, meglio nota con l’acronimo di Fao.

“Un voto per il clima”, lanciata su Changhe.org dalla testata Green&Blue partendo dalla lettera aperta della comunità scientifica affinché la politica si muova concretamente per affrontare la crisi ambientale, è vicina a diventare una delle più popolari in Italia. Mentre scriviamo ha superato quota 150mila e si avvicina al traguardo delle 200mila. E’ già fra le prime cento, a 200mila entrerà a far parte di un ristretto gruppo di cinquanta iniziative, le sole che hanno sorpassato una soglia del genere.

Nei dieci anni di vita di Change.org qui da noi, sono state raccolte nel complesso 125 milioni di firme in totale. Fra le petizioni che hanno avuto più successo c’è “Per un vero Made in Italy” sottoscritta nel 2017 da oltre 523mila persone, che ha contribuito all’introduzione dell’obbligo di specifica dell’origine dei derivati del pomodoro, “Stop tampon tax, il ciclo non è un lusso”, firmata da 682mila persone nel 2018, e “Rendiamo plasticfree i mari d’Italia”, lanciata dal Wwf sempre quell’anno e appoggiata da 854mila persone.

Oggi però il problema non è più solo l’inquinamento bensì l’assenza di una visione puntuale e a lungo termine. L’Italia è uno dei Paesi più esposti al cambiamento climatico in Europa. Mentre gli studiosi in Finladia avvertono che il polo si sta scaldando quattro volte di più rispetto al resto del mondo, il nostro territorio sta andando incontro a trasformazioni profonde che muteranno alcuni fondamentali dell’economia, iniziando da agricoltura, allevamento e turismo.

“Stime assodate mostrano come nel futuro l’avanzare del cambiamento climatico ridurrà in modo sensibile lo sviluppo economico e causerà danni rilevanti a città, imprese, produzioni agricole, infrastrutture”, per dirla con le parole degli scienziati che hanno pubblicato la lettera aperta. E noi non abbiamo ancora un piano dettagliato per far fronte a tutto ciò, mentre il tempo stringe. Come hanno sottolineato i climatologi, se vogliamo avere una qualche speranza di stabilizzare l’aumento delle temperature, il termine per invertire la rotta in fatto di emissioni è il 2030. Nel frattempo bisogna rivedere le nostre strategie, dato che sarà difficile tornare alla condizione di prima. Stando allo studio Analisi del Rischio. I cambiamenti climatici in sei città italiane, realizzato dal Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (Cmcc), Milano rischia di passare da un minimo di 30 giorni di caldo aggiuntivi a oltre 60, Napoli da 50 a 90, Roma da 28 a 54. Sarà insomma un Paese differente da quello che abbiamo conosciuto.

Lo sanno bene anche alla Fondazione per lo sviluppo dei Big Data e l’Intelligenza Artificiale (Ifab), nata in seno al tecnopolo di Bologna, che ha messo a lavorare i suoi algoritmi sui dati climatici. Di qui l’European Extreme Events Climate Index (E3CI) appena presentato messo a punto con il supporto scientifico del Cmcc e Leithà S.r.l. – Unipol Group. Analizza la frequenza e la severità degli eventi atmosferici estremi dal 1981 fino ad oggi e lo fa in maniera continuativa. Un indice dinamico che guarda in tempo reale le anomalie. Risultato? Quest’anno stiamo andando peggio del 2003, considerato fino a ieri l’anno peggiore.

“Appare urgente”, si legge ancora nella lettera alla base della petizione, “porre in essere azioni di adattamento che rendano noi e i nostri territori più resilienti a ondate di calore, siccità, eventi estremi di precipitazione, innalzamento del livello del mare e fenomeni bruschi di varia natura; azioni che non seguano una logica emergenziale ma di pianificazione e programmazione strutturale”.

Per questo, assieme a tante altre personalità del mondo scientifico, dello spettacolo, dell’imprenditoria, della società civile, oltre ad alcuni dei sindaci delle maggiori città italiane, la petizione è stata sottoscritta anche da Stephane Dujarric, portavoce del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres. “Non è più il tempo dei “se” né dei “quando”, ma solo dei “come”, conclude Maurizio Martina. “E le risposte arriveranno (o non arriveranno) solo dalla nostra capacità di rispondere a questo salto d’epoca”.