Gli elefanti si infettano con il virus dell’herpes proprio come noi, con vescicole intorno alla bocca e sul naso, o meglio, sulla proboscide. E se è un cucciolo sotto i cinque anni a infettarsi, il virus lo porta quasi sempre alla morte. Per questo, lo zoo di Chester in Gran Bretagna, (come riporta oggi la Bbc,) dopo aver perso ben sette cuccioli dal 2010 ed essere riuscito a salvare una elefantina di cinque anni, sta investendo nella ricerca di un vaccino contro l’Eehv, cioè l’Elephant endotheliotropic herpesvirus haemorrhagic disease. Come dice alla tv inglese il professor Falko Steinbach dell’università del Surrey, che coordina gli studi, “Non potendo prevenire l’infezione cerchiamo un vaccino capace di contrastare i sintomi della malattia e prevenire la morte”.

 

“L’Eehv è ben noto da almeno venti anni – spiega Klaus Friederich, veterinario del Bioparco di Roma – è della stessa famiglia dei virus erpetici che colpiscono noi umani, ma non ci viene trasmesso dagli elefanti, né noi lo passiamo a loro. Gli studi che si stanno compiendo a Chester sono davvero innovativi, anche se non sarà facilissimo trovare un vaccino, visto che la ricerca sull’uomo va avanti da anni e non ha dato risultati promettenti”.

“Nel mondo degli zoo da tempo c’è grande attenzione al problema – dice Friederich, 54 anni, che è arrivato al Bioparco nel 1998 dopo il lavoro allo zoo di Monaco di Baviera – non soltanto per tutelare gli animali che vivono in cattività. Il virus ha ripercussioni anche sulle popolazioni in natura, dove circola soprattutto tra gli elefanti asiatici e meno tra quelli africani, che comunque non ne sono immuni. Non a caso, negli zoo dove sono presenti esemplari delle due specie si evita il contatto tra elefanti asiatici e africani”.

 

La trasmissione del virus tra gli elefanti avviene come tra gli umani e naturalmente, come accade per tutti gli agenti virali, lo stretto contatto facilita la diffusione dell’infezione: “Sono soprattutto gli adulti asintomatici a trasmettere l’Eehv ai piccoli, nei quali, visto che il loro sistema immunitario è ancora incompleto, in grande percentuale ha esito fatale. La sintomatologia è come la nostra: vescicole labiali e intorno al naso, letargia, inappetenza”.

I veterinari degli zoo sanno riconoscere i sintomi: “Al Bioparco abbiamo soltanto due femmine adulte – dice il veterinario – ma vengono controllate regolarmente: per prevenire questa come altre malattie sono indispensabili una buona alimentazione, una buona gestione che eviti gli stress, perché l’herpes, come succede a noi, si acuisce se il sistema immunitario è debole, e fondamentali sono le visite regolari per tutti”.

 

Friederich riferisce poi di un fenomeno che in Asia contribuisce a diffondere l’Eehv in natura: “Nei Paesi asiatici gli elefanti sono animali da lavoro, ma quando non servono più vengono abbandonati. Questi animali che io chiamo “elefanti randagi”  hanno vissuto in spazi ristretti, senza controlli, e possono essere portatori asintomatici. Quando vengono a contatto con branchi liberi sono una bomba batteriologica e virale”.

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Le osservazioni di Friederich rimandano ancora una volta al problema degli animali in cattività: se le strutture europee hanno ormai consolidate pratiche di gestione e, nella maggior parte dei casi, progetti di ricerca con obiettivi di conservazione, sensibilità e attenzione ai diritti degli animali sono molto diversi altrove. Nel caso dell’Eehv, tuttavia, assicurare ampi spazi agli elefanti non basta a preservarli dal contagio. Proprio come accade a noi umani privati degli abbracci per il Covid, impedire a un cucciolo di relazionarsi agli adulti con contatti e “sfregamenti” di proboscide sarebbe renderlo infelice ed emotivamente instabile.