Proprio ieri il New York Times, nella sua sezione dedicata alla crisi climatica, sottolineava che i fenomeni estremi come la grandine sono sempre più frequenti, ma che composizione e formazione dei chicchi di ghiaccio, che tanti danni causano all’agricoltura, sono poco studiate. Una conferma della necessità di indagini viene oggi dall’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac): una sua ricerca, pubblicata sulla rivista Remote Sensing, ha accertato che per tutti i fenomeni grandinigeni registrati nel Mediterraneo la tendenza è in crescita di circa il 30% nell’ultimo decennio.

“Esaminando i dati raccolti dalle osservazioni dei radiometri a microonde della  Global Precipitation Measurement mission (una rete di satelliti che fornisce osservazioni globali di nuova generazione di pioggia e neve n.d.r), siamo riusciti a ricostruire la distribuzione spaziale e temporale degli eventi grandinigeni nel bacino mediterraneo dal 1999 al 2021” spiega Sante Laviola, ricercatore del Cnr-Isac e primo autore della ricerca. I fenomeni sono stati raggruppati in due categorie di severità: grandinate intense (caratterizzate da chicchi con diametro variabile da 2 a 10 cm) e grandinate estreme (associate alla formazione di aggregati ghiacciati con diametro superiore a 10 cm).

“A differenza dell’Europa centrale, dove questi fenomeni avvengono principalmente in tarda primavera e in estate, nell’Europa meridionale (in particolare nel sud Italia, nella penisola iberica e in Grecia), dove il clima è influenzato dall’elevata insolazione e dalla vicinanza al mar Mediterraneo, le condizioni ambientali sono le principali responsabili della formazione di forti grandinate durante la fine dell’estate e l’autunno. In questa fase dell’anno si registrano i valori più alti sia per quanto riguarda i fenomeni intensi che per quelli estremi” prosegue il ricercatore.

L’analisi dell’andamento dei fenomeni per tutto il periodo preso in considerazione mostra una tendenza in crescita per tutti gli eventi grandinigeni, rivelando nel decennio 2010-2021 una crescita media rispetto al decennio precedente di circa il 30% per entrambe le categorie di severità. “Questo risultato sembra trovare piena aderenza con gli andamenti delle principali variabili climatiche alla base della formazione dei sistemi temporaleschi intensi” conclude Laviola. “Va comunque considerata la possibile incidenza del cambiamento climatico sulla frequenza, distribuzione e intensificazione di questi fenomeni, su scala globale e all’interno di hot-spot climatici, ovvero nelle aree climaticamente più vulnerabili”.

La correlazione tra fenomeni estremi, riscaldamento globale e notevole aumento delle temperature del nostro mare viene dunque sottolineata una volta di più. I chicchi di grandine sono tanto più grandi quanto più forti e persistenti sono le correnti ascensionali: in pratica, se aria molto calda che proviene dal suolo riesce a “sostenere” per più tempo i chicchi in formazione questi continuano a crescere. E ancora: la forza delle correnti ascensionali, con una certa semplificazione, si può riferire a dinamiche di instabilità all’interno delle nubi, che dipende soprattutto dalle alte temperature nei bassi strati dell’atmosfera, che generano più instabilità.

Alla comparsa di un fenomeno meteo contribuiscono molte variabili, ma ci sono pochi dubbi che quanto rilevato dai ricercatori del Cnr avvalori ulteiormente lo status di sorvegliato speciale del Mar Mediterraneo, un hotspot nel quale, come ormai rimarcato da più studi sostenuti da una mole di dati notevoli, gli effetti del riscaldamento globale sono amplificati.