Hanno un impatto dannoso sulla biodiversità, dato il numero di uccelli e mammiferi che cacciano e uccidono, per questo vanno inseriti tra le specie aliene invasive. In Polonia, sulla base di questa considerazione, l’Accademia polacca delle scienze ha così equiparato i felini domestici alle altre 1.786 specie elencate come invasive in un database nazionale, gestito dall’Istituto di conservazione della natura. La decisione dell’Istituto è stata fortemente criticato, ne è seguito un dibattito acceso, tanto che gli scienziati polacchi hanno poi dovuto poi dichiarare pubblicamente che la definizione dei gatti come specie aliena non implica misure di soppressione o abbattimenti programmati di felini selvatici o domestici.

 

La considerazione degli scienziati polacchi si basa sui numeri e sul comportamento dei gatti. Il biologo Wojciech Solarz, che lavora per l’Istituto statale, ha spiegato che i gatti soddisfano al 100% i criteri per rientrare tra le specie aliene, perché uccidono circa 140 millioni di uccelli in Polonia ogni anno, numeri che li qualificano come un grave pericolo per la biodiversità.

Alle affermazioni dello scienziato hanno risposto gli ambientalisti, argomentando che secondo questi criteri nell’elenco dovrebbe rientrare anche l’uomo e che, soprattutto, le cause della perdita di biodiversità sono altre, tra cui l’inquinamento e la riduzione degli habitat e l’architettura urbana, con facciate di edifici a specchio contro cui vanno a sbattere gli uccelli.

Le polemiche in Polonia rinfocolano tuttavia il dibattito su due questioni principali. La prima riguarda appunto la pericolosità dei gatti, che sono sotto accusa non soltanto nell’Est Europa. In Australia, lo scorso dicembre, i proprietari di gatti sono stati invitati a tenerli chiusi in casa, o farli uscire soltanto legati, per evitare che uccidessero gli uccelli. In Gran Bretagna i media hanno spesso dato voce alla preoccupazione di chi vede nei felini domestici una delle maggiori cause per la moria di uccelli.

 

Tuttavia, proprio la britannica Royal Society for the Protection of Birds, tra le maggiori e più autorevoli organizzazioni per la protezione degli animali in Europa, sottolinea sul suo sito che “nonostante il gran numero di uccelli uccisi dai gatti nei giardini, non ci sono prove scientifiche evidenti che questa mortalità stia causando un declino delle popolazioni di uccelli. Questo può essere sorprendente, ma molti milioni di uccelli muoiono naturalmente ogni anno, principalmente per fame, malattie o altre forme di predazione. È provato che i gatti tendono a catturare uccelli deboli o malati”.

La seconda questione, sollevata dall’inserimento polacco dei gatti tra le specie invasive, rientra invece nel dibattito su come si debbano davvero classificare le specie invasive e quanto a ritroso nel tempo si debba andare per valutare se sono ormai parte di un ecosistema o no. Secondo l’art.3, comma 2, del Reg. (UE) n. 1143/2014 la specie aliena (tale termine è considerato sinonimo di esotiche nel progetto europeo LIFE ASAPS per la loro eradicazione) invasiva è “una specie esotica per cui si è rilevato che l’introduzione o la diffusione minaccia la biodiversità e i servizi ecosistemici collegati, o ha effetti negativi su di essi”.

I gatti, almeno in Europa, sono arrivati abbastanza di recente, dopo la loro domesticazione in Medio Oriente circa 10mila anni fa, ma certo la loro presenza non è tanto recente da considerarli “introdotti”. E ancora, come ha sottolineato la divulgatrice Emma Marris nel suo libro Anime selvagge, è sufficiente eliminare le specie aliene per salvare la biodiversità? Non sarebbe più utile, almeno in alcuni casi, concentrarsi sul preservare in maniera più ampia gli ecosistemi? L’iniziativa dei biologi polacchi più che una seria misura di contrasto alla perdita di biodiversità sembra un eccesso di zelo burocratico, la sterile compilazione di un elenco, contrapposta alla valutazione ampia e pratica di cosa sta facendo diminuire la popolazione di uccelli in Polonia.