Pace fatta tra il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ed Elettricità futura. La riconciliazione è andata in scena questa mattina nel corso dell’Assemblea pubblica dell’associazione che, all’interno di Confindustria, raccoglie oltre il 70% delle imprese elettriche italiane. Ed è arrivata dopo settimane di tensioni e incomprensioni. Tutto era nato quando a fine febbraio Elettricità Futura aveva lanciato la sua proposta shock: “Siamo pronti a installare 60 gigawatt di elettricità da fonti rinnovabili nei prossimi tre anni“. Il ministro era stato preso in contropiede, il suo piano, all’interno del Pnrr, prevedeva infatti 70 gigawatt entro il 2030, e aveva bocciato come impraticabile il progetto degli industriali, arrivando a evocare la “lobby dei rinnovabilisti”.

La polemica era riuscita nell’impresa quasi impossibile di far ritrovare dallo stesso lato della barricata gli imprenditori di Confindustria e gli attivisti delle associazioni ambientaliste. “Potrei capirlo se a presentare il piano fossimo stati noi”, aveva detto il direttore di Greenpeace Italia Giuseppe Onufrio, “ma trovo inconcepibile che il ministro si rifiuti di aprire un tavolo tecnico su una proposta delle imprese”.

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Beh, quel tavolo ci deve poi essere stato. Perché il nuovo piano di Elettricità futura presentato questa mattina ha ricevuto in diretta il plauso di Cingolani. Lo ha d’altra parte ammesso anche il presidente dell’Associazione, Agostino Re Rebaudengo, nel presentarlo: “Ci siamo confrontati con il Mite”.

Cosa propone dunque Elettricità futura? Lo scopo è arrivare al 2030 con 85 gigawatt di nuova elettricità da rinnovabili, in modo da soddisfare il piano europeo Fit for 55 reso ancor più esigente dal RepowerEu varato dopo la crisi ucraina, ma con una maggior gradualità rispetto alla proposta iniziale. A fronte di 60 gigawatt in tre anni, ora Elettricità Futura propone un crescendo: 5 gigawatt nel 2022, 6 nel 2023, 8 nel 2024, e poi 10, 11 o 12 per ciascun anno successivo fino al 2030.

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Parallelamente andranno costruiti i sistemi di accumulo, fondamentali per l’elettricità prodotta con il sole e il vento. L’associazione prevede 3 gigawatt nel 2024, 9 nel 2025, 12 nel 2026, 14 per ogni anno dal 2027 al 2030.

“Questo è un piano molto credibile”, ha commentato il ministro Cingolani. “Ne abbiamo discusso molto e abbiamo rivisto insieme i numeri. Ci sarà tutta la nostra collaborazione per realizzarlo. Anzi, con un po’ di fortuna, anche se non ne abbiamo molta in questo periodo, penso che potremmo essere ancora più ambiziosi, soprattutto nei primi anni. I 5 gigawatt previsti per il 2022, per esempio, li abbiamo già messi in cascina e non è detto che a fine anno saranno anche di più”.

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La sfortuna a cui fa riferimento Cingolani ha a che fare con la crisi energetica legata al conflitto ucraino e con l’ondata di siccità che, tra le altre cose, rischia di costringere alla chiusura, per ammissione dello stesso ministro, alcune centrali idroelettriche per mancanza di flusso e di diminuire la produzione delle centrali termoelettriche, che hanno bisogno di acqua per essere raffreddate.

Ma Cingolani ha approfittato dell’assemblea di Elettricità futura per indicare quelle che secondo lui sono le tre possibili soluzioni: “Un tetto europeo al prezzo del gas per evitare i picchi. Poi occorre disaccoppiare il mercato delle energie rinnovabili da quello delle fossili: non ha senso che l’elettricità prodotta da sole e vento subisca le oscillazioni del prezzo del gas. E poi c’è il piano di Energia futura per la crescita delle rinnovabili in Italia, la cui tabella di marcia è esattamente quella a cui attenersi”.