Speravamo che la definitiva approvazione e pubblicazione della legge sull’agricoltura biologica spegnesse, o quanto meno mitigasse, gli ardori dei molti che continuano a spendersi per parlarne male e per disprezzarne gli obiettivi e i risultati. E invece, dopo mesi, ancora oggi si leggono articoli che strumentalizzano qualsiasi situazione puntuale per delegittimare un intero percorso sia culturale sia agronomico ed economico.

 

Oggi si prende ad esempio il disastro dello Sri Lanka, con tutti i terribili risvolti sul piano sociale. Ciò che sta avvenendo in questi giorni in quel Paese viene attribuito alle difficoltà produttive emerse dopo la decisione del governo di ricondurre tutta l’agricoltura a modelli biologici. Senza tenere in considerazione che in quel Paese non si è operato secondo i protocolli che vengono suggeriti per la conversione al biologico, che è una fase importante per accompagnare l’agricoltura verso un modello di rigenerazione dei suoli e di equilibrio dell’ecosistema. Gli obiettivi del governo dello Sri Lanka sono stati probabilmente spinti dalla volontà dell’apparire per sostenere il turismo, di evidenziare come lo Sri Lanka sia un luogo totalmente sostenibile, anche nella produzione agricolo, senza un reale sostegno agli agricoltori sul piano tecnico ed economico in grado di favorire questa transizione.

Ma l’esempio dello Sri Lanka è sufficiente a dare la stura a un attacco a tutta l’agricoltura biologica, quel sistema produttivo che oggi in Italia rappresenta oltre il 16% della Sau (superficie agricola utilizzata), coinvolge oltre 80.000 aziende agricole e più di due milioni di ettari. Sistema produttivo che è perno della nuova programmazione della Politica agricola comune che individua come obiettivo minimo da raggiungere, entro il 2030, il 25% della Sau per dimostrare come l’agricoltura possa essere, anche, protagonista positiva nel contrasto alla crisi climatica.

Abbiamo assistito a una ingiustificata, ma anche molto isolata, battaglia contro l’agricoltura biodinamica, quella che abbiamo anche definito la battaglia dei pochi ma rumorosi. Sappiamo che l’agricoltura biodinamica non è altro che un modello di agricoltura biologica che impiega molte più energie nella difesa della fertilità dei suoli e che rappresenta un’ulteriore tessera del grande puzzle dell’agroecologia. E infatti è bastata una modifica che “non modifica nulla” nell’articolo 1 per permettere l’approvazione della legge sull’agricoltura biologica, coinvolgendo nella discussione personalità che poco hanno a che fare con il mondo agricolo e millantando di avere dalla propria “tutto” il mondo scientifico, mentre così non è.

È evidente che ancora oggi l’attacco non è solo all’agricoltura biologica ma alla sostenibilità. È il necessario percorso verso la sostenibilità in agricoltura a spaventare perché sposta il baricentro verso scelte diverse che non possono più avere come obiettivo la massimizzazione del profitto a tutti i costi. Chi parla di lobby del biologico sta sostanzialmente ponendosi in difesa della lobby dell’agricoltura industriale, di quel modello agricolo che non guarda al futuro del Pianeta e dei suoi abitanti ma continua a insistere per l’uso di fitofarmaci e fertilizzanti di sintesi che sono causa di buona parte dello sconquasso ambientale che si vive nelle nostre campagne. Sì, campagne! Perché non bisogna dimenticare che il cibo si produce in campagna e senza la campagna non ci sarà più cibo. La campagna non è un passaggio temporaneo nel ciclo di produzione, è il principale. Sostituire la fertilità dei suoli attraverso l’uso della chimica di sintesi significa compromettere la produzione agricola anno dopo anno, contribuire alla desertificazione. E non sono i sostenitori dell’agricoltura biologica a dirlo, sono i documenti ufficiali redatti da scienziati impegnati in modo autonomo e senza appartenenze nella definizione di ciò che sta succedendo nel pianeta.

In questi giorni l’Europa brucia, per le alte temperature e per la diffusione di incendi spaventosi. La siccità sta contribuendo in modo concreto al passaggio del fuoco. La scienza, quella scienza che spesso viene millantata tutta contraria agli sforzi verso una maggiore sostenibilità, conferma quotidianamente che il bandolo della matassa è proprio il contrasto alla crisi climatica e, se si vuole agire davvero a sostegno del Pianeta e di chi lo vive, bisognerebbe accelerare molto il percorso di quella transizione ecologica che mira alla neutralità climatica. Dobbiamo interrompere l’emissione di CO2 in atmosfera, dobbiamo favorire la riduzione della sua percentuale e ritornare a condizioni di equilibrio. E, che piaccia o meno a giornalisti e politici, l’agricoltura biologica dà un segnale importante in questo percorso e contribuisce a una concreta riduzione di gas climalteranti emessi in atmosfera. Proprio perché segue principi di agroecologia, quella stessa agroecologia che la Farm to Fork sostiene come modello per ricondurre l’agricoltura entro i confini del Green New Deal.

 

Oggi assistiamo a una strumentalizzazione continua e perdurante di qualsiasi evento globale per mettere in dubbio ogni impegno assunto sul piano della transizione ecologica. Come se questa fosse un vezzo di alcuni, una moda, il gioco di pochi che amano la natura. In questi giorni si parla, con insistenza, di deroghe alle misure agroambientali della Pac per via della crisi energetica e degli effetti della guerra in Ucraina. Diamo quindi addosso a quel poco di transizione ecologica già programmata pur di difendere un modello agroalimentare globalizzato che mostra tutte le proprie fragilità, con evidenti ripercussioni sulle comunità dei paesi meno ricchi. Una speculazione evidente, sulla bocca di tutti, anche dei politici che dovrebbero assumere iniziative di contrasto e controllo, alla quale invece si risponde solo con interventi sporadici di mitigazione degli effetti più che di contrasto alle origini. Alleviare una sofferenza senza agire per impedirne l’origine non è un’azione lungimirante e politicamente efficace.

 

E così dobbiamo continuare a lottare a sostegno di quell’esigenza inderogabile di transizione agroecologica per dare una possibilità alle future generazioni partendo dal cibo che produciamo e che consumiamo, consapevoli che le nostre scelte quotidiane possono fare quella piccola differenza che è linfa vitale per una vera neutralità climatica.