SINJAJEVINA. Le cinque del mattino e già la fioca luce della lampadina si accende nella stanza antica. Gara dispone i ciocchi di legna dentro l’antro della stufa e, con un gesto dall’odore di zolfo, fa nascere la fiamma che riscalderà la giornata. Sul tavolo una tazza di caffè bollente e un bicchiere di rakja; fuori l’aria pungente di un mattino di ottobre. Nella stalla il bestiame è pronto per la mungitura: le mani stringono le mammelle a ritmo alterno e il latte, ancora caldo, cade schizzando dentro il secchio di latta. Il sole intanto sorge lento dalle finestre della stalla e anche oggi Gara è pronta a combattere la sua battaglia: non se ne andrà da Sinjajevina e non lascerà che la sua terra venga cosparsa di polvere da sparo.

Nel 2018 il governo montenegrino, presieduto dal Partito democratico dei socialisti, aveva dichiarato la sua intenzione di trasformare Sinjajevina in un poligono di artiglieria per le forze armate montenegrine e per l’esercito della Nato. Sinjajevina è il principale massiccio montuoso del Montenegro che ospita i più vasti pascoli di tutti i Balcani e quelli tra i più estesi in Europa. L’altopiano si estende per 15 chilometri di ampiezza e per 40 chilometri di lunghezza, tra la città di Kolasin e il villaggio di Njegovuda, non lontano dal confine tra Serbia e Bosnia. Una morfologia perfetta per un’area di tiro.

A cingerlo si snoda il fiume Tara – sito Unesco, Patrimonio Mondiale dell’umanità – la cui forza ha creato il secondo canyon più profondo al mondo. In questo sconfinato altopiano vivono piccole e diffuse comunità di pastori e pastoresse, che da secoli praticano la transumanza e, nei mesi primaverili ed estivi, si riuniscono con le greggi nei tradizionali villaggi chiamati Katun. Qui non esiste proprietà privata e l’uso delle risorse è regolato da leggi tramandate oralmente, di generazione in generazione. I pastori sanno che la terra e l’acqua devono essere usate in modo sostenibile e parsimonioso, senza sprechi e in maniera condivisa e solidale. La forte connessione tra uomo e natura si legge sui visi arrossati dal sole e sulle mani ruvide e forti, avvezze al duro lavoro con gli animali, da cui deriva la fonte primaria di sussistenza: il latte. Questo oro bianco, dopo la fase di bollitura e cagliatura, viene trasformato in tvrdi sir, il tipico formaggio stagionato, prima lasciato riposare nelle kaze, casse di legno, e successivamente in pelli di pecora precedentemente essiccate al sole.

In questo luogo idilliaco l’annuncio del poligono è arrivato come una sciagura. Da subito le comunità dell’altopiano si sono attivate per contestare questa decisione e per tutelare i loro territori di vita, necessari alla loro sussistenza. Hanno raccolto 6mila firme contro la realizzazione del poligono militare, proponendo l’istituzione di un parco naturale regionale sull’altopiano, anche in conformità a quanto suggerito da uno studio dell’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente del Montenegro.

Il governo, per legge, non ha l’obbligo di rispettare la petizione, ma deve comunque considerarla ed esprimere un giudizio a favore o contrario. Da quanto dichiarato dalle comunità pastorali, però, senza preavviso né previa consultazione, il 27 settembre 2019 l’esercito montenegrino ha bloccato l’accesso stradale alla parte sud-orientale dell’altopiano di Sinjajevina e ha dato avvio alla prima esercitazione militare delle truppe montenegrine, americane, austriache, slovene e italiane della Nato, con la popolazione locale ancora presente nell’area. In quel fine settembre, i primi colpi di mortaio hanno interrotto il silenzio della montagna e la quieta vita dei pastori. Alcuni animali, spaventati, hanno smesso di produrre latte per giorni, altri sono scappati senza più tornare. Così nel Luglio 2020 nasce il movimento Save Sinjajevina con lo scopo di proteggere la cultura e le tradizioni che da secoli si tramandano sull’altopiano, ma anche per tutelare la biodiversità e gli ecosistemi che si sono coevoluti nel tempo insieme alla pratica della pastorizia.

Nell’ottobre del 2020, il governo annuncia un’altra grande esercitazione militare. La risposta dei cittadini non tarda ad arrivare e viene subito allestito un campo di protesta nel cuore dell’altopiano, atto a bloccare l’accesso dei soldati fino al dicembre dello stesso anno. La preoccupazione di un possibile sfollamento è grande, ma la determinazione a non abbandonare quelle terre supera di gran lunga la paura e oggi la prostesta continua.

“La vita in montagna è difficile e il lavoro con la gli animali è duro, ma qui sono libera. Qui sono nata e qui voglio restare, questo posto è tutto per me”-  Sono parole chiare e concise quelle pronunciate da Mileva Jovanovic, detta Gara, che in serbo significa nera. Nera per il colore dei suoi capelli e per la profondità dei suoi occhi scuri. Gara ha trascorso la sua vita tra il villaggio di Bjelo Polje e l’altopiano di Sinjajevina, allevando il bestiame e crescendo i suoi figli tra le letture di grandi filosofi e letterati, come Kant, Dostoevskij e Shakespeare. “Non è possibile spiegare l’importanza che questa terra ha per noi, bisogna venire qui e viverla.”

Nell’aprile del 2022 con la salita a primo ministro di Dritan Abazovic, del partito liberal-ecologista Ura, gli abitanti hanno intravisto la fine delle minacce. Abazovic, infatti, nell’Ottobre del 2020 aveva dato il suo supporto al gruppo di Save Sinjajevina, unendosi in una giornata al presidio che i pastori stavano tenendo sull’altopiano e assicurando loro che avrebbe bloccato la realizzazione del poligono militare. Inoltre il ministro dell’ecologia, Ana Novakovic Durovic, aveva confermato l’intenzione di creare un parco regionale nell’area di Sinjajevina, in conformità alle proposte avanzate dall’Unione Europea di adottare misure urgenti per identificare nuove aree protette e potenziali siti Natura 2000. Ma nel 2022 le ambasciate inglese e americana hanno ribadito il progetto di creare un poligono militare sull’altopiano, in nome del miglioramento della difesa nazionale come chiave per la sicurezza dello stato e dei suoi cittadini. Così nell’ottobre del 2022 le comunità pastorali, guardinghe su una reale presa di posizione del governo, si sono nuovamente riunite per discutere e per organizzare il presidio dei loro luoghi di vita.

Il Montenegro, come altri stati dei Balcani, è un paese vicino all’Occidente, ma che ha anche importanti legami economici, storici, religiosi e culturali con la Russia. La Nato e l’Ue sono state e rimangono una garanzia di stabilità e sicurezza per questo stato di “confine” tra le due influenze, soprattutto in un momento delicato come questo, in cui il mondo intero si trova ad affrontare una crisi non solo di natura ecologica e climatica, ma anche politica e sociale. Se da una parte la creazione di un centro di addestramento è uno degli obblighi che il paese si è assunto ai tempi dell’adesione alla Nato, il 5 giugno del 2017; dall’altra quello che viene contestato è la decisione unilaterale del governo, una decisione calata dall’alto, che non tiene in considerazione le necessità e le richieste della popolazione che vive in uno stato democratico. I cittadini vivono tutt’oggi con il timore di essere sfollati da un giorno all’altro dalle loro case, perdendo così le loro tradizioni e le fonti di sussistenza: il bestiame e la terra. Milan, presidente dell’iniziativa Save Sinjajevina, sta combattendo la sua battaglia insieme a tutte le comunità dell’altopiano e vuole un futuro per loro: “Per far si che le prossime generazioni restino a popolare l’altopiano, abbiamo bisogno di una visione per il futuro, una visione che sia sostenibile e in linea con le politiche dell’Unione Europea, a cui il Montenegro aspira a far parte. E noi ce l’abbiamo questa visione. Vorremmo che Sinjajevina resti un centro di produzione casearia legato alla tradizione del nostro popolo, che ha sempre saputo utilizzare le risorse, come l’acqua e la terra, in modo durevole, senza danneggiarle o inquinarle. La battaglia che stiamo conducendo ora non ha nulla di politico. Non siamo contro la Nato o contro l’esercito. Noi chiediamo di tutelare la natura e le pratiche tradizionali che da secoli tengono vivo l’altopiano di Sinjajevina.”