Vade retro, cormorano. I pescatori pugliesi temono la concorrenza dell’uccello acquatico dall’inconfondibile livrea nera, vero e proprio campione di apnea. E, aggiungendo un nuovo tassello al mosaico della convivenza tra uomo e animali selvatici, denunciano con una nota di Coldiretti Puglia le “gravi” ripercussioni economiche legate alla sua presenza sempre più invasiva, segnalata in provincia di Bari sia a sud, tra Mola di Bari e Torre a Mare che a nord tra Giovinazzo e Bisceglie, sulla costa di Taranto, nella laguna di Varano, sulla Diga di Capaccio del Celone a Lucera e presso la palude del Lago Salso a Manfredonia, a Gallipoli e sugli oltre 400 chilometri di costa della regione”.

La nota di Coldiretti va ancora più a fondo, sospettando un legame tra la presunta “esplosione” demografica dei cormorani e l’innalzamento della temperatura, e denunciando: “Ogni cormorano mangia fino a 10 chilogrammi di pesce al mese, oltre 300 grammi al giorno, lasciando tra l’altro pesci feriti nell’attività predatoria e con il rischio della diffusione di malattie e parassiti. Il numero di cormorani svernanti è cresciuto di circa venti volte negli ultimi 25 anni secondo un andamento parallelo e strettamente correlato alla crescita esponenziale delle popolazioni nidificanti nei paesi dell’Europa centro-settentrionale”. Chiosando, infine, che si tratta di “una vera e propria emergenza alla luce dei danni provocati all’attività dell’itticoltura e alla vita stessa dei pesci nei mari perché l’attività predatoria dei cormorani sottopone a forte stress la vita marina poiché è talmente intensa da non permettere la crescita, lo sviluppo e la riproduzione delle specie di cui si nutrono”. “Non si limitano alle specie di pesce pregiate – aggiunge Coldiretti Puglia – perché mangiano anche quelle specie-foraggio che dovrebbero fungere da pasto per le prime, rendendo ancor più negativo il loro impatto sul settore ittico”. E dunque il tema, non senza un pizzico di sensazionalismo, è diventato più che mai attuale, nel cuore dell’inverno pugliese, periodo di tradizionale svernamento dai siti di nidificazione del Nord Europa per una specie che non passa inosservata lungo le nostre coste.

Chi è il vero concorrente?

Ma è davvero così impattante la presenza dei cormorani sulle dinamiche economiche della pesca artigianale? “Questa non è che l’ultima di una serie di ricorrenti denunce che tornano puntuali di tanto in tanto, ma manca di un fondamento scientifico sul presunto trend di crescita della popolazione e, soprattutto, di un dato sull’impatto sul pescato, che non è – tranne che in situazioni confinate e controllate – per sua natura quantificabile”, spiega Stefano Volponi, ricercatore presso l’Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale (ISPRA), tra i principali esperti di cormorani in Italia. “La verità è che il cormorano è molto visibile, soprattutto quando pesca o subito dopo quando in bella mostra si posa a far asciugare le ali, circostanza che lo candida a essere spesso il capro espiatorio dei problemi del settore della pesca. – aggiunge – Quando in realtà la sua presenza certifica lo stato di salute, e la pescosità, dei tratti costieri. Soprattutto andrebbe ripensato l’approccio antropocentrico: chi è il vero concorrente sleale, l’uomo – che ha avviato processi di industrializzazione della pesca – o il cormorano, che si limita al suo stesso fabbisogno, e lo fa da sempre?”. Domanda retorica, naturalmente.

Il caso della Sardegna e le fake news

Eppure, il tema è spinoso. Al punto che non mancano i cosiddetti piani di controllo: in Sardegna, per esempio, la presenza dei cormorani e il loro impatto sulla pesca hanno indotto alla redazione di un piano triennale per la riduzione –  approvato dalla Provincia di Oristano, dall’Assessorato regionale della Difesa dell’ambiente con il parere favorevole dell’Ispra – che prevede, entro il 2025, l’abbattimento “di un massimo di 462 esemplari degli oltre 4.600 cormorani censiti nei compendi ittici della provincia”. Un piano che “si è reso necessario per contenere l’attività predatoria dei cormorani e prevenire gravi danni alle attività di pesca”. “Mancano però strumenti di controllo dell’efficacia di azioni del genere, e in più andrebbe considerato che il numero di cormorani dell’Oristanese è in flessione rispetto a quanto rilevato anni fa”, annota Volponi.

Eppure di convivenza pacifica tra uomo e cormorano si parla ormai da tempo: diverse le iniziative avviate dall’Unione Europea per progetti e di tavoli di lavoro ai quali si sono seduti ecologi, ornitologi, sociologi e gli stessi pescatori: alcune delle azioni virtuose, coordinate da centri di ricerca europei e da associazioni il Wetlands International e IUCN Cormorant Research Group, sono consultabili al sito cormorants.freehostia.com. Quanto ai trend della popolazione di cormorani svernanti lungo le coste italiane (appena l’1,5% degli uccelli europei nidifica in Italia secondo i dati raccolti nell’ambito dell’ultimo censimento pae-europeo), in attesa dell’esito degli ultimi censimenti IWC coordinati da ISPRA i dati disponibili non rilevano incrementi rispetto a quanto rilevato nel recente passato. “Quel che è certo, tuttavia, è che non c’entra il climate change: le temperature più miti spingerebbero anzi i cormorani a svernare più a nord, non certo in Puglia, tenendosi il più vicino possibile ai siti di nidificazione, da Olanda e  Danimarca, ai Paesi Scandinavi e dell’Europa centro-orientale dove si registrano presenze in crescita favorite dal susseguirsi di inverni miti”, spiega Volponi. Dunque, una fake news. Il campanello d’allarme, sintomo del clima che cambia, è semmai legato al fatto che una specie abituata a effettuare migrazioni per lo svernamento inizi a non averne più bisogno. “Puntare l’indice contro una specie che nel dopoguerra era al limite dell’estinzione, riprendendosi grazie a un’azione mirata di protezione di poche centinaia di coppie in Danimarca e Olanda, è fuorviante”, conclude Volponi.

Dai lupi ai delfini, prove di convivenza e approcci differenti

Ma non è, questa, una storia nuova. I presunti danni del lupo appenninico agli allevamenti continuano per esempio ad alimentare campagne volte a limitarne l’impatto (e in Svezia proprio in questa settimane il governo ha dato il via libera a una campagna di abbattimento di 75 esemplari su una popolazione totale di 460).Si tratta del complesso tema della condivisione delle risorse tra uomo e animali: una delle sfide del futuro prossimo è affrontarlo con approcci progettuali volti a favorire un equilibrio tra i cosiddetti stakeholder e le specie selvatiche. Come nel caso del progetto LIFE Delfi, coordinato da Irbim-Cnr, che mira a favorire la convivenza tra pescatori e delfini lungo le coste italiane. I primi lamentavano i danni diretti e indiretti dei cetacei alle reti dei pescherecci artigianali. Il comportamento opportunistico dei cetacei, attratti dal pescato, può causare qualche grattacapo agli operatori. Di contro, però, l’impatto dell’uomo sui delfini si traduce anche in potenziali catture accidentali. Così il progetto ha già portato alla distribuzione gratuita ai pescatori del mar Tirreno, Adriatico, Sicilia e Sardegna di dissuasori acustici di ultima generazione e deterrenti visivi, strumenti in grado di suggerire ai delfini di girare alla larga. I pescatori sono stati particolarmente disponibili a collaborare. Di più: nell’ambito dello stesso progetto, che prevede  anche l’utilizzo di attrezzi alternativi per la pesca, a cominciare dalle nasse, hanno seguito loro stessi corsi di “dolphin watching”. L’idea è che possano affiancare alla pesca una nuova attività economica. Del tutto ecocompatibile, naturalmente.