Bere un caffè è un gesto quotidiano e universale. Coltivare caffè, invece, oggi non è altrettanto semplice. Il cambiamento climatico, la deforestazione e la crisi dei prezzi delle materie prime mettono a rischio l’industria del caffè globale, costringendo chi lo produce a piccole e grandi rivoluzioni. Proprio per questo motivo è arrivata a Torino Dora Estela Mirón Campos, operatrice sociale guatemalteca e coordinatrice di Verdad y Vida, onlus che sostiene più di 180 donne nella produzione locale e sostenibile di caffè nell’area di San Cristóbal, a pochi chilometri da Città del Guatemala, capitale del Paese. “La nostra associazione vuole ridare dignità e lavoro alle donne vittime delle violenze e della guerra civile che ha colpito negli scorsi decenni il nostro Guatemala – spiega Mirón Campos. – Io per prima sono una vedova di guerra: mio marito è stato rapito e poi ucciso per le sue idee politiche”.  

Mirón Campos, come tutte le donne di Verdad y Vida, fa parte di una comunità indigena, quella del popolo Poq’omchi, discendenti dei Maya: fino a pochi anni fa i Poq’omchi erano lasciati ai margini della società, vittime di sfruttamento e diseguaglianze. Buona parte della popolazione, a causa dei conflitti, è donna: gli uomini sono desaparecidos o morti. Proprio grazie al caffè, però, il loro tessuto sociale si sta riallacciando e le loro ferite cicatrizzando. “Qualche anno fa eravamo solo in grado di vendere il caffè crudo ai grossisti che ci pagavano pochissimo. Molte coltivatrici erano analfabete, e non avevano le conoscenze né gli strumenti per lavorare i chicchi una volta raccolti. Ora abbiamo fatto rete e tutto è cambiato, il margine di guadagno è cresciuto molto: possiamo redistribuire il denaro nella comunità e allargare i nostri progetti”.

 

La onlus Verdad y Vida è supportata dalla Fondazione Lavazza, che da anni investe nelle comunità locali produttrici di caffè seguendo gli obiettivi di sviluppo pianificati per il 2030 dalle Nazioni Unite. Lavazza – seguendo l’obiettivo numero 5 sulla gender equality – ha offerto formazione, supporto, strumenti per tutta la catena produttiva, così da garantire alle donne del Guatemala la possibilità di vendere direttamente il loro prodotto già lavorato. Lo spiega Giuseppe Lavazza: “Il nostro obiettivo è rendere sostenibile la produzione del nostro caffè, e mantenere la qualità e la varietà delle colture. Per farlo, abbiamo bisogno di comunità vivaci e indipendenti, capaci di abbracciare tradizioni ma anche modernità. Il caffè è come il genere umano: abbraccia il Pianeta ed è ricco di diversità. Questa diversità va protetta”.

Donne dell'associazione Verdad y Vida lavorano i chicchi di caffè delle loro piantagioni
Donne dell’associazione Verdad y Vida lavorano i chicchi di caffè delle loro piantagioni 

Ci sono almeno due sfide che le comunità locali devono affrontare: la transizione generazionale e i cambiamenti climatici. Il primo problema si spiega con l’età media dei coltivatori di caffè: tra i 50 e i 60 anni, con poche conoscenze delle tecniche moderne della coltivazione. Continua Giuseppe Lavazza: “C’è un progressivo spopolamento delle campagne: la richiesta del caffè sale, ma il rischio è che ci saranno meno coltivatori. Il mestiere però sta cambiando, è sempre più tecnologico. Oggi c’è bisogno di ingegneri, prima ancora che agricoltori”.

Il secondo problema, legato ai cambiamenti climatici, ha un impatto ancora più grande. “Le nostre piantagioni sono state colpite negli scorsi anni da forti intemperie. – afferma Mirón Campos – Come la tempesta Ota e l’uragano Iota, che nel 2020 hanno distrutto buona parte del raccolto. Un tempo la zona di San Cristobal aveva il clima perfetto per il caffè, ma oggi sta cambiando tutto”.

Per affrontare l’emergenza climatica, le donne di Verdad y Vida hanno seguito dei corsi per imparare a proteggere i campi dagli eventi meteorologici estremi: “La formazione non può fermare il peggio, ma può salvarci in molte situazioni”, continua Mirón Campos. “Ma la formazione non si ferma all’agricoltura: per noi è importante curare la terra così come noi stesse, salvare noi stesse e salvare la natura è un aspetto chiave del nostro lavoro”.

Nel mondo ci sono almeno 20 milioni di coltivatori di caffè. La stragrande maggioranza lavora su proprietà grandi tra il mezzo ettaro e l’ettaro. Non solo: l’80% dei coltivatori è donna, ma solo il 20% dei terreni è in mano a figure femminili. Proprio le donne possono essere la soluzioni alle tante sfide che clima e ambiente ci pongono: secondo Project Drawdown, ente americano specializzato nella ricerca di rimedi contro l’emergenza climatica, l’empowerment femminile è una delle soluzioni più efficaci, perché genera un cambiamento che si allunga su diverse generazioni. Se le donne avessero più potere decisionale, più proprietà e più ruoli di comando, soprattutto nei Paesi del Sud del mondo, la lotta al climate change sarebbe più facile. Lo riassume perfettamente Mirón Campos: “Abbiamo imparato a leggere, a scrivere, a coltivare il caffè e affrontare i problemi della nostra Terra: nessuno può più fermarci”.