Nives Della Valle è una giovane economista che lavora come scientific officer al Joint Research Centre della Commissione Europea, dove svolge attività di ricerca su efficienza, giustizia e cittadinanza energetiche e ricadute comportamentali. Ospite di Pianeta Terra, il festival dedicato alla sostenibilità a Lucca dal 6 al 9 ottobre diretto dal neurobiologo Stefano Mancuso, ci ha spiegato quali passi avanti l’Unione europea sta facendo nel campo energetico e perché le comunità energetiche sono un tassello fondamentale della transizione ecologica.


Cosa s’intende per povertà energetica?

“Si caratterizza nella situazione in cui le famiglie non riescono ad assicurarsi il livello di servizi energetici necessario al soddisfacimento dei propri bisogni. Il rischio di diventare energy poor non è limitato solo alle famiglie che hanno un basso reddito, ma è collegato a molteplici disuguaglianze intersezionali, quali reddito, genere, età, istruzione, stato di salute ed etnicità”.

È aumentata nell’ultimo anno? Quanto è vasto il fenomeno in Europa?

“Mentre la povertà energetica è la descrizione di uno stato in un determinato momento, la vulnerabilità energetica è uno stato fluido in cui una famiglia può entrare a causa di un cambiamento nelle circostanze abitative, sociali, politiche o economiche. Per questo, a fronte dei rialzi nei prezzi dell’energia possiamo aspettarci non solo un passaggio di molti cittadini dallo stato di vulnerabilità all’attuale condizione di povertà energetica, ma anche una nuova fetta di cittadini che ora diventano a rischio”.


In che modo si può affrontare?

“La povertà energetica si può contrastare promuovendo misure di sostegno economico, protezione dei consumatori, consapevolezza e programmi di informazione e per l’efficientamento energetico”.


È possibile affrontare il tema della giustizia energetica lavorando anche sulla consapevolezza degli individui più vulnerabili?  

“Assolutamente sì. La povertà energetica è spesso definita come una forma di disuguaglianza distributiva. In pratica, la capacità di permettersi il livello di servizi energetici di cui si ha bisogno è legata alla presenza o alla disponibilità di altri beni, ognuno dei quali ha le proprie distribuzioni: il reddito; in interazione con i redditi, il prezzo dell’energia; infine l’efficienza energetica delle abitazioni e delle altre tecnologie che consumano energia in casa. Tuttavia, le famiglie si ritrovano in condizioni di povertà energetica anche perché subiscono altre disuguaglianze che gli impediscono di prendere parte al processo di definizione delle decisioni relative all’energia e di vedere rappresentati i propri bisogni specifici.  In questo contesto, promuovere la capacità di partecipare come ‘cittadini energetici’ alle questioni energetiche può rappresentare una strategia complementare al contrasto delle forme di diseguaglianza che caratterizzano la povertà energetica. Ciò implica la necessità di attivare un processo che catalizzi dapprima una migliore interazione quotidiana con l’energia (per esempio lavorando sulla consapevolezza del risparmio energetico e del diritto all’accesso ai servizi energetici), fino ad arrivare a una partecipazione più attiva che consenta di influenzare il sistema energetico (per  esempio promuovendo l’inclusione attiva nella costituzione e nelle attività delle comunità energetiche)”.

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Quali sono i freni psicologici di una famiglia alla prese con la povertà energetica? Per esempio decisioni che non si prendono per paura dei rincari?

“Fronteggiano una serie di problematiche e fattori di stress la cui gestione richiede l’utilizzo di energie cognitive, per esempio capire come gestire l’incertezza finanziaria e a quali bisogni primari si deve rinunciare quando viene data la priorità ai servizi energetici. Questo contesto cognitivamente ‘energivoro’ ha un’influenza sulla presa delle decisioni che potrebbero portare dei benefici anche economici, quali il passaggio a un fornitore elettrico più conveniente”.


Cosa pensa delle comunità energetiche?

“La letteratura e le politiche europee identificano le comunità di energia rinnovabile (CER) come uno degli strumenti principali non solo per consentire la partecipazione attiva dei cittadini alla transizione energetica, ma anche per dare forma a una transizione energetica che sia più giusta e inclusiva. In particolare, le CER possono contribuire a risolvere le diverse disuguaglianze fronteggiate dai cittadini in povertà energetica. In primis, possono contribuire a risolvere le diseguaglianze di riconoscimento e procedurali coinvolgendo in modo attivo nella costituzione, nei processi decisionali e nelle attività della CER i gruppi vulnerabili e generalmente sottorappresentati. Infine, attraverso la produzione diretta di energia rinnovabile e la vendita del surplus di energia che non viene autoconsumato, le CER permettono l’accesso all’energia in modo diretto, riducendo la spesa energetica, e indiretto, fornendo misure di efficienza energetiche finanziate dai ricavi di vendita”.

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 Possono funzionare secondo lei dal punto sociale? Quali rischi e potenzialità intravede?

“Le comunità energetiche racchiudono un enorme potenziale per la realizzazione di una transizione energetica più equa e inclusiva. Permetterebbero non solo di dare accesso ai servizi energetici essenziali, ma soprattutto di creare valore sociale nella logica di un’economia civile che va oltre quella del profitto, dove la solidarietà e l’inclusione energetica diventano strumento di riappropriazione al diritto alla cittadinanza. Tuttavia, ad oggi le esperienze di comunità energetiche che contrastano la povertà energetica in modo più o meno diretto suggeriscono che ci sono ancora molte sfide da superare. Tra i fattori che limitano la capacità delle CER nel promuovere la giustizia energetica si possono menzionare l’instabilità finanziaria, la mancanza di personale e di conoscenze sulla povertà energetica e le complesse procedure burocratiche. L’European Poverty Advisory Hub e il Rural Energy Community Advisory Hub sono due iniziative europee che possono contribuire ad affrontare alcune di queste sfide”.