SHARM EL-SHEIKH. “Non dovrebbero esistere mai morti di serie A e di serie B. Dovremmo sempre finanziare e intervenire laddove c’è bisogno: se la crisi climatica peggiorerà, non so se in futuro avremo le risorse necessarie per aiutare tutti”. Fuori dal media center della Cop27 a Sharm El-Sheikh Francesco Rocca, presidente della Federazione Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (Ifrc) e della Croce Rossa Italiana scuote la testa, spiega a Green&Blue che c’è bisogno di un cambio di rotta se si vuole garantire l’assistenza in un Pianeta malato.

 

Gli aiuti, dice, dovrebbero essere garantiti a tutti. Non è così: se da una parte ci sono risorse per doverosi interventi per esempio relativi al sostegno all’Ucraina durante l’invasione russa, dall’altra dovrebbe esserci lo stesso impegno anche per assistere milioni di persone – dal Corno d’Africa ai Caraibi – colpiti da fame, malattie e carestie direttamente legate al riscaldamento globale, ma troppo spesso dimenticate. Del resto, se è venuto alla Cop è anche per mandare un messaggio: “Non lasciamo indietro i più vulnerabili”.

Anche gli aiuti umanitari diventano sempre più complessi con la crisi del clima. Quello che è successo in Pakistan, con 33 milioni di sfollati e migliaia di vittime, è un evento che potrebbe ripetersi altrove. Quanto vi spaventa?

“Sicuramente un evento come quello accaduto in Pakistan va al di là di ogni portata. Anche noi come Croce Rossa stiamo vivendo le nostre difficoltà: le risorse necessarie per dare sostegno a ciascuna persona in difficoltà non ci sono. E in questo momento ci troviamo anche, se guardiamo agli aiuti umanitari per le risposte ai disastri, in una fase estremamente difficile dove c’è una grande politicizzazione degli aiuti umanitari. Magari abbiamo risorse disponibili che però non possiamo destinare al Pakistan perché i nostri donatori le hanno vincolate per altre emergenze. È una guerra fra poveri. Come ha detto il segretario Onu António Guterres è un massacro climatico, ma non se ne parla a dovere”.

Emergenze come quella legata all’invasione russa?

“Come doveroso i volontari della Croce Rossa stanno operando in Ucraina cercando di dare tutto il sostegno possibile, cosa che continueremo a fare. Lo stesso sostegno chiaramente vorremmo però poterlo dare anche ad altre popolazioni bisognose”.

Entro metà secolo a causa del clima milioni di persone potrebbero soffrire la fame e si teme un miliardo di rifugiati climatici. La Croce Rossa ha le risorse per garantire aiuti in uno scenario del genere?

“Se le risorse rimangono queste la macchina rischia davvero di incepparsi. E se l’attenzione degli Stati che possono fare la differenza rimane come quella attuale, allora posso dire che sicuramente si incepperà. Un miliardo di persone sono numeri che parlano da soli: occorre intervenire ora, mitigare, fare tutto ciò che è possibile per contenere la crisi del clima. Se pensiamo alla pochissima attenzione che la comunità internazionale sta dedicando al Corno d’Africa e alla devastante carestia che sta vivendo è un esempio perfetto del poco impegno nello scongiurare migrazioni e difficoltà. Dovremmo aiutare le persone a continuare a vivere dove sono e in condizioni dignitose”.

Come è cambiata la logistica degli aiuti con l’avanzare dell’emergenza climatica?

“Ci sono vari aspetti, ma direi che la parte logistica nel tempo è migliorata. Quello che sta cambiando è soprattutto il sistema di warning, di allerta, e questo consente di potersi spesso preparare. Se  per esempio guardiamo il Bangladesh oggi grazie a un lavoro fortissimo, sia di Croce Rossa sia del governo, morti e vittime anche economiche delle alluvioni si sono ridotte drasticamente. Anche nei Caraibi stiamo rafforzando queste capacità, ma ancora non basta”.

Quale messaggio porta in questa Cop27 la Federazione Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa?

“Non lasciare indietro le comunità più vulnerabili. Meno del 10% delle risorse che vengono stanziate sta raggiungendo le comunità più fragili, un trend che deve cambiare. Molte risorse stanziate per l’adattamento in realtà finiscono su grandi opere infrastrutturali, comunque importanti, ma invece servirebbe un maggiore equilibrio perché a pagare il prezzo poi  alla fine sono le comunità rurali, quelle più esposte quando un disastro naturale colpisce”.