Chi inquina di più, in aereo? Un passeggero di classe business, che viaggia molto comodamente e con consumi superiori sia per spazio occupato che per servizi ricevuti, uno in economy – più sacrificato e con amenità ridotte ai minimi termini – o uno che ha acquistato un posto nelle classi intermedie oggi molto di moda, le premium? Vale la pena chiederselo anche perché molti Paesi tassano in modo differenziato i biglietti proprio in base alla classe di appartenenza. Rischiando di sbagliare e non di poco. Eppure una lettera aperta pubblicata sulla rivista specializzata Environmental research e intitolata “Estimating passenger emissions from airfares supports equitable climate action” sottolinea una piccola-grande differenza: suddividere le emissioni di un aereo su ciascun passeggero utilizzando il prezzo effettivamente pagato per assicurarsi un posto, piuttosto che la semplice classe, restituisce una stima più accurata del contributo individuale e dunque del vettore all’inquinamento su quella specifica tratta. Spingendo anche a ripensare la tassazione “verde” nel settore dell’aviazione civile.

I ricercatori dell’University College di Londra hanno infatti spiegato in una lettera come considerare le tariffe aeree nei calcoli mostri quali passeggeri contribuiscono maggiormente alle entrate della compagnia aerea che gestisce l’aeromobile, consentendo così all’apparecchio di decollare con profitto. E se è ovviamente vero che le poltrone in first, business o premium sono generalmente più care di quelle in economy, ci sono eccezioni che vanno tenute in conto: i ricercatori hanno infatti evidenziato come molte prenotazioni in economy effettuate all’ultimo minuto, rese spesso necessarie dai viaggi di affari o da clienti con un reddito elevato che possono permettersi di non tenere in conto certi aspetti, finiscano per costare tanto quanto, se non di più, di un posto nelle classi più comode ed eleganti.

“Il documento mostra che dovremmo seguire i soldi nel calcolo delle emissioni dei singoli viaggiatori, poiché sono le entrate che decidono se una compagnia aerea può gestire un aereo o meno” ha spiegato l’autore principale dell’indagine, Stijn van Ewijk. “Chi ha pagato il doppio di un compagno di viaggio contribuisce al doppio delle entrate della compagnia aerea e dovrebbe ricevere il doppio delle emissioni. La dimensione del sedile di ciascuna classe di viaggio, attualmente utilizzata per allocare le emissioni, è solo un’approssimazione piuttosto generica di quanto pagano i passeggeri”. Per questo, in sostanza, gli esperti suggeriscono che l’implementazione di una tassa rapportata e proporzionata al prezzo effettivo del biglietto potrebbe rendere più equi i costi totali del volo. Le persone che acquistano i biglietti più costosi pagherebbero la tassa più alta, incoraggiandole a cercare alternative. Questa strategia potrebbe fra l’altro influenzare anche le stime delle emissioni aziendali perché assegnerebbe un carico superiore alle costose prenotazioni dell’ultimo secondo, che spesso vengono appunto acquistate per motivi di lavoro.

La lettera, che è di fatto un paper, ha sfruttato i dati del database Airline Origin Survey. Nell’introduzione si ricorda che ai passeggeri di classe business vengono assegnate da 1,3 a 2.9 volte le emissioni per unità di distanza rispetto a quelli in economy (parametro utile per una grande quantità di calcoli, stime e studi). Questo secondo la logica che si basa sull’occupazione dello spazio dei viaggiatori e considerando che più ne entrano in una classe meno peseranno in termini di emissioni. Una considerazione, spiegano gli esperti, valida solo se si considerano i voli come non influenzati alla domanda di mobilità aerea, cosa che ovviamente non ha alcun senso. La decisione di operare un volo si basa infatti sulla redditività, che a sua volta dipende dai ricavi delle tariffe aeree, elemento sul quale conviene dunque concentrarsi.

L’aviazione contribuisce d’altronde a una quota crescente di circa il 2,4% delle emissioni globali di CO2 di origine antropica e che, come sappiamo dalle sfide dell’elettrificazione degli apparecchi o da quelle poste dagli effetti collaterali dei biocarburanti, il settore è molto difficile da decarbonizzare. Se non, per assurdo, contenendo la domanda di viaggi aerei, definita nell’indagine una “strategia chiave per raggiungere gli obiettivi in materia di cambiamento climatico”.