Non basta che ognuno pensi al proprio orticello, pardon pezzettino di mare, serve uno sforzo globale e coordinato per affrontare il problema della plastica in mare. Perché la plastica in mare viaggia e si disperde ovunque, anche lontano da casa, e rappresenta un pericolo per gli ecosistemi. A cominciare dagli uccelli marini, che possono scambiarla per cibo ma la utilizzano anche per costruire nidi, e per i quali, certifica uno studio appena pubblicato su Nature Communications, alcune zone più di altre sono particolarmente rischiose. Ma il problema della plastica lungi dall’essere locale è globale.

A raccontare tutto questo è un folto gruppo di ricercatori internazionali che ha mappato il movimento di oltre settemila uccelli marini, incrociando i dati di questo monitoraggio con quelli disponibili sulla diffusione delle plastiche in mare. Focus della ricerca sono state più di 70 specie di uccelli e oltre 7mila individui appartenenti all’ordine dei procellariformi, comunemente note come procellarie. Fanno parte di questo gruppo uccelli come le berte, il petrello azzurro e i fulmari, per esempio, e sono stati scelti perché si trovano un po’ ovunque nel mondo. Al tempo stesso però – ricordano  gli autori – sono uccelli particolarmente sensibili alla plastica, che tendono a ritenere a lungo nel corpo, con tutti i rischi collegati (di danno fisico e tossici). Gli uccelli sono stati monitorati dal 1995 al 2020, e le popolazioni analizzate provenivano da tutto il mondo.

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In questo modo incrociando le strade degli uccelli e quelle della plastica, è stato possibile avere una stima del rischio per le diverse specie di incontrare plastica nel loro percorso, scattando una fotografia pressoché globale. I ricercatori sono riusciti a identificare degli hotspot per le zone di inquinamento e le specie più a rischio, mostrando che in molti casi quelle che più rischiano sono specie già in pericolo. In cima alla lista delle specie più a rischio per l’esposizione alla plastica ci sono infatti uccelli considerati in pericolo di estinzione, tra cui la berta della Baleari, la procellaria delle Hawaii e la berta di Newell. Riguardo alle aree ricche di plastica, gli autori identificano il Mediterraneo, il Mar Nero, il Pacifico Settentrionale, l’Atlantico meridionale e l’Oceano Indiano Sudoccidentale come quelle più a rischio esposizione (quindi più ricche di plastica).

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L’altro dato interessante, scrivono gli autori, è che buona parte del rischio si concentra in alto mare, soprattutto in prossimità dei vortici oceanici e in zone economiche esclusive (le aree ZEE) diverse da quelle del paese in cui gli uccelli si accoppiamo. A sottolineare quanta strada facciano in mare gli uccelli, ma anche la plastica, come ha ricordato Bethany Clark, Seabird Science Officer della BirdLife International di Cambridge e primo nome del paper su Nature Communications: “A causa delle correnti oceaniche, i detriti di plastica spesso finiscono lontano dalla loro fonte originaria. Questo sottolinea la necessità di una cooperazione internazionale per affrontare l’inquinamento da plastica negli oceani di tutto il mondo”.