Probabilmente non ci si pensa spesso, ma quando facciamo il pieno alla macchina non stiamo facendo altro che sfruttare il più potente sistema biologico per la produzione di energia: la fotosintesi. Petrolio, carbone e gas naturali, d’altronde, non sono altro che prodotti dell’attività incessante con cui le piante convertono la luce del sole e la CO2 in sostanze organiche; condensata e distillata, in questo caso, da milioni di anni trascorsi sotto terra. È possibile sfruttare lo stesso processo per ottenere combustibili artificiali, rinnovabili e magari meno dannosi per l’ambiente? Ad oggi purtroppo la risposta è negativa, ma la scienza è al lavoro, e inizia a dare i primi risultati. A dimostrarlo, uno studio dell’Università di Chicago presentato sulle pagine di Nature Catalysis, che descrive un nuovo metodo per la fotosintesi artificiale, almeno 10 volte più efficiente di quelli sviluppati in precedenza.

Anche così – avvertono gli autori dello studio – siamo ben lontani da qualcosa che possa realmente fornire una risposta alle crescenti esigenze energetiche della nostra specie. Ma quanto meno, si tratta di un passo nella giusta direzione, visto che per fare a meno dei combustibili fossili in futuro serviranno alternative altrettanto efficienti sul piano energetico. “Molte persone non si rendono conto della vera sfida: nemmeno la natura ha una soluzione per la quantità di energia che stiamo utilizzando”, spiega Wenbin Lin, chimico dell’Università di Chicago che ha partecipato alla ricerca. “In futuro dovremo fare meglio della natura, ed è spaventoso”.

Messi da parte i timori, una delle possibilità che vengono studiate al momento è quella di hackerare la fotosintesi. Trovare cioè il modo di sfruttare la tecnica con cui le piante producono energia utilizzando la luce solare e l’anidride carbonica, e sfruttarla per produrre i combustibili a impatto zero (o quasi) che più ci fanno comodo, come l’etanolo o il metano. Più facile a dirsi che a farsi, ovviamente: la fotosintesi naturale produce glucosio, cioè un carboidrato, una molecola composta da una catena di atomi di ossigeno, carbonio e idrogeno collegati tra loro, mentre per ottenere del metano i chimici devono riuscire a trasformare la reazione in modo che produca una molecola molto differente, composta da un singolo atomo di carbonio circondato da quattro atomi di idrogeno (CH4).

Fino ad oggi, il compito si è rivelato estremamente complesso. I ricercatori di Chicago hanno però sperimentato un nuovo metodo, che per ora si è rivelato estremamente promettente: aggiungere aminoacidi alla fotosintesi artificiale, qualcosa che fino ad oggi non era ancora mai stato tentato. La loro tecnica prevede l’utilizzo di un materiale chiamato Mof, o metal-organic framework, che viene sommerso in una soluzione contenente cobalto, e differenti tipi di aminoacidi.

Ottimizzando la scelta degli aminoacidi, hanno dimostrato che in questo modo è possibile migliorare tutte le fasi della reazione di fotosintesi artificiale, arrivando ad un’efficienza 10 volte superiore rispetto a quella dei tentativi svolti fino ad oggi. Ancora troppo poco, lo dicevamo, per immaginarne un utilizzo su scala industriale: “Per come stanno le cose attualmente – spiega Lin – dovremmo aumentare l’efficacia di diversi ordini di grandezza per sperare di ottenere quantità di metano sufficienti per le nostre esigenze energetiche”. Se non si tratta ancora, quindi, di una soluzione ai problemi energetici dell’umanità, è comunque un ottimo passo in avanti, che potrebbe dare una spinta decisiva a questo campo di studi.