La calotta glaciale antartica è la principale riserva di acqua dolce del mondo. E con il clima impazzito a causa delle attività umane, il rischio che si sciolga si fa, di anno in anno, sempre più concreto. Fortunatamente, sembra che il futuro dei ghiacci antartici, e con loro del pianeta come lo conosciamo non sia ancora scritto. A suggerirlo è uno studio pubblicato di recente su Nature Communications, che ha indagato le dinamiche climatiche che influenzano la velocità con cui si stanno ritirando i ghiacciai dell’Antartide occidentale, rivelando che con ogni probabilità un intervento deciso per ridurre le emissioni globali può ancora impedire il loro definitivo collasso nei decenni, e nei secoli, a venire.

La calotta antartica occidentale è una porzione minoritaria, e peculiare, della più ampia calotta di ghiaccio che ricopre l’Antartide. A differenza di quella orientale non poggia infatti sulle terre emerse del continente, ma è sorretta invece dal sostrato roccioso che giace al di sotto del livello del mare. È suscettibile per questo motivo a quella che gli scienziati descrivono come “instabilità della calotta glaciale marina”: un fenomeno causato dall’afflusso di acqua calda nelle nelle aree che lambiscono i margini del ghiacciaio, e che indica la presenza di un punto di non ritorno, oltre il quale lo scioglimento dei ghiacci causato dai cambiamenti climatici è destinato a causarne, inesorabilmente, il collasso, indipendente, a quel punto, dalle condizioni climatiche.

In parole povere, quando abbastanza ghiaccio si sarà sciolto ridurre le emissioni e il riscaldamento globale sarà a quel punto inutile: una parte più o meno ampia della calotta glaciale antartica occidentale sarà destinata a collassare e sciogliersi nelle acque dell’oceano, provocando (nel lungo periodo) un innalzamento delle acque marine che condannerebbe alla sparizione la maggior parte delle aree costiere del pianeta.

Questa, se non altro, è la teoria prevalente tra gli esperti di glaciologia. E il punto di non ritorno – ritengono in molti – potrebbe essere veramente dietro l’angolo. La nuova ricerca, realizzata da scienziati di Cambridge, dell’Università di Edimburgo e di quella di Washington, ha deciso di verificare la situazione studiando con precisione mai raggiunta i cambiamenti che ha sperimentato l’intera calotta occidentale in risposta alle condizioni climatiche tra il 2003 e il 2015. Combinando dati climatici, oceanici e immagini satellitari, hanno scoperto che lo scioglimento dei ghiacciai nelle aree più vulnerabili della costa antartica non ha seguito un andamento uniforme: nell’area del mare di Amundsen infatti la ritirata dei ghiacci è stata molto più lenta rispetto a quanto osservato nella zona, adiacente, del mare di Bellingshausen.

Le differenze – hanno scoperto i ricercatori – sarebbero legate a mutamenti locali nella forza e nella direzione dei venti, che avrebbero determinato un maggiore o minore influsso di acqua “calda” proveniente dalle profondità dell’oceano, e quindi un differente tasso di scioglimento del fronte della calotta glaciale. “I meccanismi oceanici e atmosferici che agiscono sull’Antartide occidentale sono ancora estremamente importanti – spiega Eric Steign, dell’Università di Washington – questo significa che il collasso della calotta glaciale non è inevitabile. Dipenderà da come cambierà il clima nei prossimi decenni, una variabile che possiamo ancora influenzare positivamente riducendo le nostre emissioni di gas serra”.