La popolazione urbana nel mondo sta aumentando sempre di più: se nel 1800 solo il 10% della popolazione viveva in città, oggi siamo al 50% con picchi dell’80% in Europa occidentale, Americhe, Australia, Giappone. E sempre più spesso gli esperti considerano che per migliorare la resilienza delle città sia indispensabile avere fonti di cibo locali. Attualmente le città producono tra il 5% e il 10% di legumi, verdure e tuberi e il 20% del cibo globale.

In una prospettiva di miglioramento del benessere è però evidente che questi dati dovranno aumentare. Utilizzando le produzioni in aree rubane e periurbane, dicono gli studiosi, si potrebbe nutrire il 30% della popolazione cittadina. Avere fonti di cibo “cittadine” vorrebbe dire assicurare la sicurezza alimentare, abbassare emissioni e inquinamento, favorire la rigenerazione urbana, migliorare lo stato di salute delle persone. Trasportare cibo, persone e merci ha numerose conseguenze ambientali, tra cui l’inquinamento atmosferico, la frammentazione del paesaggio e la produzione di gas serra. Aumentare la produttività nelle città, dove la gente vive, porterebbe quindi a dei risultati positivi per l’ambiente e, come è stato visto in occasione della pandemia, permetterebbe di affrontare meglio i momenti di crisi.

Il libro

A Marcianise fiorisce un orto nel cemento

di Giuliano Aluffi

Certo, la sensazione è che il cibo cittadino sia meno salubre, o che le piante crescano in modo più stentato, che il sapore sia diverso. Un nuovo studio dell’Università di Lancaster (Uk) ha cercato di chiarire questo aspetto arrivando a ottenere dei risultati sorprendenti. Analizzando oltre 200 studi provenienti da 53 Paesi, gli scienziati hanno scoperto che in città viene coltivata un’ampia varietà di piante: dai legumi, alla frutta. Per alcune, come cetrioli, tuberi, lattuga, i raccolti arrivano a essere da 2 a 4 volte superiori a quelli dell’agricoltura convenzionale, se comparati in base ai dai del database FAOSTAT. Vanno molto bene anche i pomodori e i peperoni. In generale sono più abbondanti i raccolti di cerali, frutta, radici e verdure da foglia.

Dai giardini verticali all’idroponica

Ciò è dovuto anche al fatto che in città c’è un controllo migliore delle condizioni di vita, come acqua, illuminazione, fattori nutritivi, parassiti. I metodi di coltivazione inoltre possono essere differenti: dai giardini verticali all’idroponica, sono possibilità che permettono una migliore organizzazione e dunque una maggiore produttività. L’utilizzo delle aree costruite, come facciate e tetti, amplia le possibilità e permette di far crescere i vegetali in condizioni perfettamente controllate, limitando le perdite e migliorando la salute delle piante, aumentando le stagioni del raccolto che diventano indipendenti da quelle naturali. Lattughe, cavoli e broccoli sono perfetti per l’agricoltura verticale, i pomodori per l’idroponica. Infine mentre in campagna il lavoro viene effettuato da grandi macchine che lavorano su grandi distanze, in città viene sostituito da quello manuale, che permette una più alta densità di piante.

Il ruolo nelle città nella produzione di cibo è stato oggetto del documento Cibo, Città, Sostenibilità, elaborato dall’ASviS (Alleanza Italiana per lo sviluppo sostenibile), un tema strategico per l’Agenda 2030, il programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai Paesi membri dell’Onu. Vengono individuate delle politiche locali del cibo urbano che analizzano la sostenibilità, la salubrità e anche l’inclusività, perché spesso chi è più povero ha meno accesso a un cibo sano. Vengono anche indicate delle raccomandazioni tra cui la pianificazione di una strategia per il cibo urbano, la riduzione delle disuguaglianze alimentari, realizzare filiere alimentari di solidarietà. Anche la Fao ha pubblicato un’Agenda per il cibo urbano. Sono programmi fondamentali per assicurare la salute dell’umanità del futuro.