È dai primi mesi di pandemia che si indagano le dinamiche che influenzano la diffusione di Sars-Cov-2. E in particolare, la possibilità che fattori climatici come temperature, quantità di luce solare giornaliera, umidità, possano aumentare o diminuire la circolazione del virus, e guidare in qualche modo le ondate pandemiche. A più di due anni dai primi casi di Covid, oggi i dati epidemiologici a disposizione degli scienziati sono molto più abbondanti, e un progetto di ricerca guidato dal Qatar Environment & Energy Research Institute ha deciso di utilizzarli per chiarire, una volta per tutte, la situazione. I loro risultati, pubblicati sulla rivista Plos One, indicano un unico fattore climatico correlato fortemente con la probabilità di circolazione del virus: l’esposizione alle radiazioni ultraviolette.

Come dicevamo, non è la prima volta che si tenta di capire se il clima è un fattore importante che guida le ondate di Covid. E già in passato alcune ricerche avevano ipotizzato che fossero proprio le condizioni climatiche ad aver favorito la maggiore diffusione dei casi vista nei Paesi settentrionali, tenendo invece al riparo quelli più vicini all’equatore dalle conseguenze peggiori di questa pandemia. Non tutti gli esperti, però, sono della stessa opinione, e gli studi disponibili non permettevano finora di trarre conclusioni definitive.

 

Lo studio

Nel nuovo studio i ricercatori hanno utilizzato i dati epidemiologici provenienti da 196 nazioni e relativi a 14 mesi di pandemia. Prendendo in considerazione variabili socioeconomiche, ambientali, climatiche e tendenze epidemiologiche globali, per verificare quali parametri permettessero di prevedere con più precisione l’evoluzione dei contagi. I dati sono quindi stati analizzati utilizzando tre distinti approcci statistici.

 

Le tre variabili dell’epidemia

Parlando in assoluto, le tre variabili maggiormente collegate alla riduzione dei contagi sono state la quantità di popolazione suscettibile all’infezione, la capacità di far rispettare i lockdown e il numero di tamponi effettuati giornalmente. Guardando però alle variabili relative al clima, l’unica che ha mostrato una forte correlazione con l’andamento della pandemia è stata l’esposizione quotidiana ai raggi ultravioletti: al crescere della quantità di raggi UV registrata in un’area diminuisce il numero di contagi. Un risultato che non dovrebbe stupire – scrivono i ricercatori nello studio – perché è dimostrata da tempo la capacità dei raggi UV di neutralizzare il virus.

Per quanto riguarda altre variabili collegate ai climi caldi, come temperature, umidità e ore di sole, i risultati dei tre modelli di analisi utilizzati hanno mostrato diverse discrepanze, e quindi nonostante giochino probabilmente un ruolo anch’esse nelle dinamiche di trasmissione della malattia, lo studio non permette di trarre conclusioni certe a riguardo. Anche così, i ricercatori sono soddisfatti dei loro risultati: la consapevolezza di una correlazione tra radiazioni ultraviolette e circolazione del virus potrebbe infatti aiutare a definire i profili di rischio delle singole nazioni, e le migliori strategie di mitigazione del rischio.

“L’impatto del clima sui tassi di trasmissione di Covid è stata indagata da molte ricerche, ma ne sappiamo ancora relativamente poco”, scrivono gli autori nelle conclusioni dello studio. “Il nostro lavoro dimostra che i fattori meteorologici giocano un ruolo importante nelle analisi dei rischi relativi a Covid realizzate con metodi statistici, econometrici e con modelli di machine learning. E che le radiazioni UV sono probabilmente il fattore principale che influenza la diffusione del virus“.