ll contributo di Giorgio Brizio, attivista per i diritti e l’ambiente di Fridays for Future, alla rubrica di testimonianze dalla Cop26 di Glasgow.


Con un giorno di tempi supplementari, è ora ufficialmente finito il XXVI incontro della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico. I delegati si sono fermati una notte in più a Glasgow e sono andati avanti ininterrottamente con le trattative nel tentativo di trovare un accordo condiviso.


Le ultime intensissime ore sono state caratterizzate dallo scontro aperto tra i due fronti che si sono creati: grandi paesi sviluppati e G77, un’alleanza di decine di nazioni che coprono buona parte di Sud America, Africa e Sud-est asiatico – in prima linea di fronte alle conseguenze della crisi climatica in atto.

Nell’ultima plenaria sono spiccate la durezza del presidente di COP26 Alok Sharma (“si riuscirà o fallirà assieme”), la volontà della Cina di assumere un ruolo da leader e la sua disponibilità a mediare con tutti, il discorso di Frans Tiemmermans (in assoluto il più applaudito e apprezzato), l’intervento di un rappresentante di Antigua e Barbuda a nome di AOSIS, coalizione di Paesi insulari, che ha ricordato che superare 1,5 gradi per queste nazioni significherebbe sparire dalle cartine. E ancora il tentativo di tirare sempre più acqua al proprio mulino da parte di alcuni Stati, come l’India.

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È stata proprio l’India l’artefice dell’ultimo, amarissimo, colpo di scena. È infatti passata la sua proposta mirata a modificare il testo cambiando l’espressione “eliminare gradualmente” in “ridurre gradualmente” l’energia a carbone.

 

Il “Glasgow Climate Pact”, nome che prende questo nuovo accordo, non supera con chiarezza la differenza tra +1.5 e +2 gradi, non contiene date specifiche (in particolare modo sull’uscita dal fossile) e non fornisce le risorse necessarie per il sistema “Loss & Damage”: nella COP del 2009 Obama promise 100 miliardi a fondo perduto ai Paesi meno responsabili e più colpiti dalla crisi climatica. Avevamo detto che se questa promessa non si fosse concretizzata, si sarebbe potuto parlare di un fiasco totale. È esattamente quello che è accaduto: gli Stati Uniti e l’Unione Europea si sono nuovamente rifiutati di creare un fondo a cui questi Paesi possano attingere.

Negli anni a venire, forse, questa vigliaccheria e il peso di questa responsabilità, un vero e proprio oltraggio alle nazioni più vulnerabili al clima, verranno ricordati e condannati.

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Il tutto si riassume nella frase del delegato delle Fiji: “Ci aspettavamo novità positive su Loss & Damage, sono arrivate novità negative sul carbone”.

Per fortuna, qualcosa di positivo c’è. Dopo 6 anni è stato approvato l’articolo 6 dell’Accordo di Parigi sul mercato di carbonio, così come le altre parti mancanti (linea temporale comune, trasparenza) del Paris Rulebook. E ancora, per la prima volta in un accordo di questo tipo vengono menzionati i combustibili fossili, e le Parti hanno convenuto sul presentare i nuovi NDCs, obiettivi climatici autonomi e volontari, entro la fine del 2022.


Si dice che le analisi della mattina del giorno dopo (o della notte stessa) non siano mai le migliori. Ci vorrà tempo per assimilare quello che (non) è successo in queste due intricate, frenetiche, pompose, a volte cupe e altre volte colorate settimane di COP26 – e io sono solo un giovane attivista, ma mi sento di poter affermare che questa Conferenza delle Parti è stata l’ennesimo fallimento.

È un insuccesso sicuramente di portata minore rispetto a Madrid 2020 ma, anche alla luce di dove si terranno le prossime due COP (Egitto ed Emirati Arabi Uniti, non certo i paladini dei diritti umani e dell’abbandono del fossile), l’aspettativa e il potenziale erano grandi.

“È l’ultimo scoglio prima del baratro”, avevamo detto iniziando questa rubrica. Ora nel baratro ci siamo sempre più.

Ancora una volta, le persone più vulnerabili in giro per il Pianeta, la società civile e gli attivisti ne escono sconfitti.

Ma essere abituato a perdere fa parte della quotidianità dell’attivista. Così come non mollare. E ripartire con la convinzione che, anche se magari non riusciremo a scampare al collasso climatico, finché ci sarà un margine di azione, finché ci sarà la possibilità di salvare vite, sempre andremo avanti a lottare.

 

*Giorgio Brizio, 19 anni, è attivista dei Fridays for future. Ha scritto “Non siamo tutti sulla stessa barca” (Slow Food Editore)