La mia relazione riguarda il presente ma soprattutto il futuro. Non sono un giurista ma c’è un evento straordinario che va sottolineato: per la prima volta questo Paese ha cambiato i principi costituzionali. La Costituzione è stata oggetto di varie modifiche nel corso del tempo, ma mai fino a ora era stata modificata la prima parte, quella che riguarda i principi.


Durante il mio intervento cercherò di avere un approccio trans-disciplinare. Parto da una premessa che gli studenti del dottorato conoscono bene, ma direi che ormai tutti conoscono, vuoi per esperienza diretta, vuoi per letture, vuoi per studio. Stiamo utilizzando un modello socioeconomico insostenibile non solo sul piano ambientale ma anche sul piano economico, sociale e per certi versi anche istituzionale. Dal secondo dopo guerra abbiamo fatto grandi cose, abbiamo per esempio avuto un lungo periodo di pace, ora messa a grande rischio dalle azioni della Federazione Russa. Abbiamo avuto uno straordinario aumento della popolazione, del reddito e di tutto quello che ci ha consentito, come persone in tutto il mondo, di godere di uno sviluppo assolutamente eccezionale.

Negli ultimi settant’anni abbiamo applicato il modello occidentale all’intero pianeta, abbiamo esportato nel mondo un modello di sviluppo basato su produzione e consumo, sulla crescita economica. Nel corso degli anni ciò ha fa fatto fare un salto senza precedenti alle emissioni dei gas climalteranti, degli inquinanti, dei diversi problemi ambientali. Tutti aspetti che rendono impossibile proseguire su questa strada, e credo che i nuovi dottori di ricerca porteranno questa convinzione in tutto il nostro Paese e all’estero. L’insostenibilità economica, sociale, ambientale e in parte anche istituzionale, come detto in precedenza, è ormai certificata dalla scienza, da i diversi studi condotti nel mondo. Tempo fa, insieme ad alcuni colleghi scrivemmo un articolo che fu pubblicato sul Guardian che rappresentava il frutto di un seminario tenutosi a Pretoria, in Sudafrica, che intendeva proseguire una riflessione iniziata nel gennaio del 2013 grazie a un’iniziativa del re del Bhutan, conosciuto per le sue idee sulla felicità: come metterla al centro delle azioni politiche? Insieme a una quarantina di esperti provenienti da tutto il mondo avevamo riflettuto su questi temi.

Durante l’incontro in Sudafrica, a un certo punto dissi: ipotizziamo che ci sia un nuovo Paese che ha davvero l’intenzione di realizzare l’Agenda 2030 – il documento non era ancora stato approvato dalle Nazioni Unite ma se ne conoscevano già i contenuti – cosa dovrebbe fare? Come immaginare un futuro sostenibile? Nell’articolo del Guardian elencammo proprio questi punti. Il primo era l’inserimento in Costituzione del concetto di sviluppo sostenibile. Poi immaginiamo che in questo nuovo Paese, che doveva dunque disegnare la mappa dei ministeri assegnando ai ministri i vari compiti, questi dovevano essere in funzione della realizzazione degli SDGs, in modo da aumentare la coerenza delle politiche. Successivamente andava definito un sistema di indicatori statistici in linea con gli indici per misurare il progresso del Paese. Un qualcosa di cui, in realtà, proprio l’Italia già disponeva, dato che quando ero all’Istat avevamo sviluppato gli indicatori di Benessere equo e sostenibile (Bes).

Altra cosa importante, apparentemente tecnica, è fissare su quale criterio deve focalizzarsi l’analisi costi-benefici, che deve servire per valutare in modo corretto in che modo un determinato investimento tende a massimizzare il benessere collettivo. Su questo, fondamentale è la scelta che ricade sul tasso di sconto con cui si valuta un beneficio futuro, un tasso che non deve risentire delle nostre preferenze sul breve termine, altrimenti rischia di essere distorto. Sempre sul Guardian, scrivemmo di come definire le regole per una contabilità d’impresa in grado di valutare l’impatto complessivo delle sue azioni su fenomeni non solo economici, ma anche sociali e ambientali; di come sviluppare nuovi modelli di valutazione di impatto delle politiche, che devono guidare le decisioni del governo verso lo sviluppo sostenibile; e di come impegnare la riforma del sistema economico e finanziario globale in favore dello sviluppo sostenibile.

Sette punti che, nel mondo, si stanno in qualche modo realizzando. Prendiamo per esempio l’Italia, in primo luogo è stato inserito, proprio lo scorso anno, il principio dello sviluppo sostenibile in Costituzione. Sulle regole di una contabilità d’impresa, l’Europa sta facendo grandi passi avanti e le nuove direttive obbligheranno dal 2023 molte più imprese, anche quelle che non sono grandissime, a descrivere l’impatto che stanno avendo su diverse questioni legate allo sviluppo sostenibile, come per esempio la quantità di emissioni gas serra prodotte lungo tutta la filiera. Le imprese dovranno dunque scegliere, per esempio, con quali mezzi di trasporto far viaggiare le merci per inquinare il meno possibile. In questo modo, saranno orientate a scegliere la ferrovia piuttosto che il trasporto su gomma.

In sostanza, abbiamo una sequenza di eventi che ci possono portare a un mondo più sostenibile o meno, ed è evidente che negli ultimi 50 anni abbiamo fatto una serie di scelte che non ci hanno evitato di essere nelle condizioni attuali. Tornando alla Costituzione, per preparare questo intervento ho trovato interessante una citazione di Gustavo Zagrebelsky: “Tutti vogliono cambiare la Costituzione, ma tutti hanno idee diverse su come cambiarla. Il miracolo costituente di un tempo è difficile che si rinnovi oggi, quando qualsiasi mutamento della Costituzione si risolve per gli uni e per gli altri in un vantaggio o uno svantaggio che ciascuno è in grado di calcolare”.

Accanto a questa citazione mi è venuto in mente Mark Twain, che un giorno disse: “È chiaro che non sapevano che fare quella cosa fosse impossibile, tant’è vero che l’abbiamo fatta”. Noi dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), in ossequio appunto al detto di Mark Twain, non pensavamo che cambiare la Costituzione fosse impossibile. Per questo motivo, con alcuni costituzionalisti, iniziammo a scrivere una proposta nel 2016. C’erano due soluzioni alternative: una modifica dell’articolo tre, inserendo tra i compiti della Repubblica la promozione di uno sviluppo sostenibile anche nell’interesse delle generazioni future. Proprio ciò che mancava alla Costituzione italiana, il concetto di giustizia tra le generazioni. E poi c’era la modifica che doveva interessare l’articolo nove. Queste idee, che non erano nuove nel dibattito culturale italiano, in qualche modo sono state prese dalla politica, quella politica spesso criticata perché pensa solo al breve termine. Nella precedente legislatura si è modificata all’unanimità, con anche le forze di opposizione, la Costituzione.

All’articolo 9 è stata dunque aggiunta la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni; la legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali. Inoltre, all’articolo 41, che parla dell’iniziativa economica privata, si aggiunge il fatto che non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana; e che la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica, pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali.

È una rivoluzione vera e propria. Non è un caso che con questa modifica, soprattutto per quanto riguarda l’inserimento dell’interesse delle future generazioni, il nostro Paese sia entrato in un ristretto gruppo dei Paesi europei, rispondendo in modo straordinario alla famosa critica di Marx allo sviluppo sostenibile. Non parlo di Karl Marx ma di Groucho Marx, l’attore americano degli anni 30 che diceva: “Perché mi devo interessare delle generazioni future? Cosa hanno fatto loro per me?”. Battuta poi ripresa da Woody Allen.

Ma quali sono le implicazioni di tutto questo? Sono numerose e saranno oggetto di un evento dell’ASviS il prossimo 22 febbraio. C’è un punto su cui mi soffermo in questo momento, che non può essere taciuto. Dopo la modifica costituzionale alcuni hanno fortemente criticato questa scelta. Qualcuno ha detto che abbiamo sfregiato la Costituzione perché abbiamo messo l’ambiente sullo stesso piano della tutela del paesaggio. Altri, invece, ritengono che si sia fatto un salto veramente importante proprio perché il legislatore in primo luogo, e poi la Corte Costituzionale, sarà chiamata a trovare il punto di equilibrio tra gli interessi dell’attuale generazione e quella delle generazioni future.

Non solo sull’ambiente ma in generale, perché i principi poi si applicano ad alcuni aspetti e quindi probabilmente verrà in mente anche a voi qualche caso in cui è emerso un inquinamento devastante da parte delle imprese, per esempio nei confronti di un territorio. Questo tipo di comportamento non è più accettabile secondo i nuovi principi costituzionali, e la stessa cosa vale per le amministrazioni pubbliche. Abbiamo in Italia circa 60.000 morti premature all’anno a causa dell’inquinamento atmosferico, in particolare in alcune aree del Paese, per esempio nella Pianura Padana. E, come è accaduto in altri Paesi come in Germania e in Olanda, sarà ora possibile portare il governo pro-tempore di fronte all’Alta Corte e condannarlo perché non sono stati rispettati gli impegni internazionali assunti liberamente da quel Paese.

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Abbiamo ancora una lunga strada da fare, serve un nuovo approccio basato sul pensiero integrato, che anche i neo dottori di ricerca dovranno portare. Non bisogna più leggere il mondo attraverso una semplificazione eccessiva, ma occorre interpretarlo come un sistema chiuso, in cui per esempio scambiamo calore con l’Universo. Prendiamo il capitale naturale, il capitale umano, il capitale sociale e il capitale economico. Lo combiniamo in un processo di produzione per produrre beni e servizi, il prodotto interno lordo e una parte lo investiamo per ricostituire il capitale e una parte lo consumiamo. Questa è la base dati dei testi di economia che usiamo nell’università, ma ci siamo dimenticati del pezzo superiore del sistema: mentre produciamo e mentre consumiamo generiamo scarti. Papa Francesco lo ricorda nella Laudato Sì e non solo: non parliamo solo di scarti fisici, ma anche scarti umani. I primi impattano sui servizi dell’ecosistema di cui noi dipendiamo. Gli stessi servizi ecosistemici che adesso sono tutelati dalla nostra Costituzione.

Ci sono poi altri settori da cui dipende lo sviluppo, la pace, la visione del futuro. Ed ecco che arriva l’Agenda 2030, documento alla base degli impegni assunti da 193 Paesi, tra cui l’Italia, nel 2015 con i suoi 17 obiettivi e 169 target, basata proprio su quel pensiero integrato che i dottori di ricerca in sviluppo sostenibile e cambiamento climatico hanno posto al centro del loro studio. Ed è interessante notare che se noi mettiamo quei 17 Obiettivi possono migliorare il benessere delle persone, l’alimentazione, la salute, l’educazione. Migliorano anche il capitale umano.

E poi nell’Agenda 20303 c’è l’innovazione che genera, attraverso gli investimenti, il cambiamento della nostra società. E poi l’economia circolare. E poi l’energia rinnovabile che è al centro del sistema. Questo è quello che la scienza ha prodotto. Questo è quello che la politica ha prodotto. Piero Calamandrei, uno dei costituenti del 1955, diceva che “La nostra Costituzione è in parte una realtà e in parte ancora un programma, un’ideale, una speranza, un impegno, e un lavoro da compiere”.

*L’autore è direttore scientifico dell’ASviS