Siamo a gennaio e i livelli di occupazione e di portata dei laghi e dei fiumi del Nord sono pari a quelli dei mesi estivi. Un’emergenza idrica dovuta alla scarsità di fenomeni piovaschi e nevosi. Tuttavia, fare ricadere la responsabilità soltanto sulle recenti temperature al di sopra della media, corrisponde a vedere una parziale verità.

La scarsità di precipitazioni ha ovviamente un ruolo cruciale ma è un fenomeno che parte da più lontano e che non riguarda soltanto le ultime settimane o gli ultimi mesi e, soprattutto, interessa l’intero Paese seppure con qualche eccezione. Per capire il fenomeno ci siamo avvalsi dei dati aggiornati al 31 gennaio 2022 forniti dall’Associazione nazionale consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue (Anbi) e spiegati dal presidente Francesco Vincenzi.

“Ormai – spiega il presidente dell’Anbi – non è più un evento eccezionale, diventa una questione strutturale. La mancanza di piogge nei mesi invernali, che contribuirebbero poi al confluire delle acque delle falde e quest’anno anche la mancanza del manto nevoso, sono ormai tipiche degli inverni che non sono più rigidi come dovrebbero essere”.

Siccità, allarme fiumi: a Torino la Dora è scomparsa

Non piove da più di sette settimane e la lunga assenza di precipitazioni inizia a farsi sentire anche sul livello dei fiumi piemontesi. Il Po a Torino appare in secca e ha una portata all’incirca dimezzata rispetto al normale, ma l’anomalia è maggiore sul tratto urbano della Dora Riparia e della Stura di Lanzo. Soffrono anche i fiumi alpini (il Pellice a Villafranca Piemonte in questi giorni ha una portata media di circa un quarto rispetto alla media di gennaio) e i corsi d’acqua minori. E’ una situazione che rispecchia il lungo periodo asciutto, simile a quella rilevata in inverni passati (2002/2007/2008 e 2016).

(testo di Valentina Acordon)

I fiumi del Nord

L’osservato speciale è il Po, la cui portata, a gennaio del 2022, è simile a quella di giugno del 2021 e di luglio del 2020. A Pontelagoscuro (Ferrara) la portata media di gennaio è stata di 790,3 metri cubi al secondo (mc/s), una diminuzione del 57% rispetto alla portata registrata un anno prima, pari 1.829,8 mc/s. Quello di Pontelagoscuro è il punto di rilevazione più importante perché considera tutti gli affluenti che si uniscono al Po lungo il suo corso.

Se nella prima delle due slide si può osservare che la portata del Po in queste prime settimane dell’anno è ben al di sotto di quella di un anno fa, altrettanto si può dire dei valori medi calcolati sul periodo che va dal 1972 al 2012 e quindi rappresentativi di 4 decenni.

La seconda slide che esamina quattro rilevazioni, a partire dal 29 gennaio del 2020 al 29 gennaio del 2022 effettuate in quattro località diverse (selezionabili mediante il filtro posto in alto a sinistra), mostra quanto possa variare il livello di un fiume, in questo caso il Po, a seconda dell’abbondanza delle precipitazioni. Anche in questo caso si può vedere con quale periodicità si presenta la scarsità di piogge durante il primo mese dell’anno.

Tra i parametri che rendono l’idea dello stato di salute dei corsi d’acqua c’è la misura idrometrica, ovvero l’altezza dell’acqua (espressa in metri) in rapporto a un valore di riferimento chiamato “zero dell’asta idrometrica di stazione”. Applicando la misura idrometrica ad alcuni fiumi che bagnano il Veneto (ed escludendo in questo frangente il Po) si ottiene un quadro che fa riflettere.

Posta l’asta idrometrica al valore zero, appare chiaro dal grafico sopra che, durante i mesi di gennaio degli ultimi anni, il fiume Livenza ha sempre avuto un’altezza idrometrica negativa, con l’unica eccezione del mese di gennaio del 2018, occasione nella quale ha superato lo zero di 26 centimetri.

Il Bacchiglione, al contrario, è sempre rimasto al disopra dello zero idrometrico, ma ciò che accomuna tutti questi fiumi sono le ingenti variazioni anno per anno, a ulteriore dimostrazione di quanto i corsi d’acqua siano suscettibili alle evoluzioni meteorologiche.

I laghi del Nord

La carenza di acque è più marcata al Nord: “A gennaio non ha piovuto e il riempimento dei grandi laghi sono a un quarto rispetto allo scorso anno”, dice Vincenzi. Il dato medio nazionale indica che, negli ultimi dieci anni, la quantità di pioggia caduta sull’Italia è più o meno stabile ma è la periodicità delle precipitazioni ad avere subito variazioni di rilievo. “Oggi è cambiata la piovosità, – prosegue Vincenzi – il dato unitario annuale medio del Paese dice che piove la stessa quantità di acqua, negli ultimi 10 anni sono piovuti in media 1000 millimetri di pioggia ogni anno, piove però meno ma in tempi più concentrati, penso ai nubifragi che fino a qualche anno fa non sapevamo cosa fossero e che concentrano piogge in pochi minuti o ore”.

Il Lario ha una percentuale di riempimento dell’11,8%, il Verbano del 24% e il Lago di Garda, forte di una percentuale di riempimento dell’80%, è distante quasi 18 punti percentuali dal 97,9% fatto registrare un anno fa.

L’emergenza al Sud

Se il Nord ha gravi problemi di scarsità d’acqua, fatta eccezione per le isole maggiori, per l’Abruzzo e per la Calabria, il resto d’Italia non sorride: “Molte Regioni hanno deficit importanti che aumentano settimana dopo settimana. In alcune zone c’è un’agricoltura che proprio in queste ore – si pensi alla Basilicata che sta cominciando la produzione di fragole – ha particolari necessità d’acqua e quando manca la pioggia cala la disponibilità negli invasi”. Gli invasi sono bacini che contengono da pochi milioni a centinaia di milioni di metri cubi d’acqua da destinare a uso industriale, agricolo e umano.

Approfondendo la questione degli invasi lucani, l’unica diga che presenta una maggiore disponibilità d’acqua, a gennaio del 2022 rispetto a 12 mesi prima, è quella di Monte Cotugno la quale, pure avendo aumentato le riserve di 16 milioni di metri cubi, è ben lungi dai limiti delle proprie capacità di capienza, pari 482 milioni di metri cubi.

Tutte le altre hanno perso milioni di metri cubi di disponibilità e, pure non suonando in modo fragoroso, le sirene d’allarme si sentono in lontananza.

Restando al Sud, l’altezza idrometrica di alcuni fiumi campani racconta una situazione di carenza, meno marcata rispetto a quella del settentrione, ma comunque degna di attenzione: alla fine del mese di gennaio il livello del Liri (118 centimetri) era meno della metà, rispetto ai 277 centimetri dello stesso giorno del 2021, e inferiore di 50 centimetri al livello di due anni prima. Anche se in misura diversa nessuno dei fiumi presi in esame mostra tendenze al miglioramento.

Scendendo più a Sud si incontra una situazione paradossale. La Sicilia vive una situazione di abbondanza di acque ma ha comunque problemi idrici: “Problemi causati dalla scarsa interconnessione tra i bacini e anche delle molte opere e schemi irrigui incompiuti”. Il risultato è una perfettibile distribuzione di acqua sia a beneficio dell’uomo sia dell’agricoltura che è una grande risorsa economica per tutta l’isola.

Oltre i problemi idrici

Al di là dei problemi idrici, la concentrazione di piogge violente causa disagi di ordine idrogeologico. La concentrazione di precipitazioni in lassi di tempo molto ristretti causa due problemi principali: “Il primo è la sicurezza idraulica nei territori, poi va sottolineato che l’acqua che piove così forte non ha beneficio perché non fa in tempo a penetrare nel terreno e poi, mentre scorre, lo danneggia”.

Quella degli eventi climatici estremi è un’etichetta che racchiude sia gli eventi in sé sia le loro dirette conseguenze: ne fanno quindi parte alluvioni, nubifragi e cicloni ma anche le esondazioni, le frane e i danni a cose e persone che ne possono conseguire. La sicurezza idraulica del territorio è ben lungi dall’essere garantita.

I nubifragi tendono ad aumentare nel tempo. Lo conferma il Politecnico di Torino con uno studio pubblicato su Geophysical Research Letters e nel quale viene data una spiegazione scientifica al fenomeno: il riscaldamento globale conferisce all’atmosfera una sempre maggiore capacità di accumulare vapore acqueo che viene poi rilasciato sotto forma di pioggia, causando quindi precipitazioni possenti.

Secondo l’Osservatorio Nazionale Città Clima di Legambiente nel corso del 2021, in Italia, sono stati registrati 187 eventi meteorologici estremi i quali, oltre ad avere provocato 9 decessi e 255 feriti, hanno causato danni e disagi in 637 centri abitati (l’8% dei 7.904 comuni italiani). Si è trattato soprattutto di abbondanti piogge che hanno causato allagamenti ma si sono verificate anche 46 trombe d’aria che hanno causato danni e 13 frane.

La seconda slide, che prende in esame gli stessi fenomeni sull’arco di un decennio mostrano un quadro più preciso in cui allagamenti (527 dal 2010 al 2021) e trombe d’aria (308 nel medesimo periodo) disegnano un’Italia sempre più confrontata con fenomeni meteorologici avversi e violenti.

Eventi che coprono il Paese da Nord a Sud: le Regioni più colpite sono state Lombardia, Veneto, Lazio, Campania e Sardegna. I comuni più interessati sono stati Milano, Roma, Napoli, Catania e Palermo.

Sicilia, Lombardia e Lazio sono le aree più martoriate dai traumi meteorologici sia nel periodo che va dal 2010 al 2020 (rispettivamente con 144, 124 e 111 eventi avversi) e, insieme alla Sardegna e alla Campania, rimangono le più esposte anche nel corso del 2021.

Gli eventi occorsi in Sicilia negli ultimi mesi, per quanto inflazionati, rendono molto bene l’idea della violenza: dai 48,8 gradi registrati a Siracusa l’11 agosto si è passati alla tromba d’aria che ha investito l’isola di Pantelleria il 10 settembre e al medicane (un ciclone mediterraneo) che si è abbattuto su Catania a fine ottobre.

Una cascata di problemi

Un problema che ha diverse conseguenze, come spiega Vincenzi: “Questo scenario pone problemi dal punto di vista ambientale e anche dal punto di vista economico. L’agroalimentare italiano dipende, per il 99%, dalla disponibilità della risorsa acqua. Non c’è l’agroalimentare di qualità e, nelle quantità che conosciamo, se non abbiamo a disposizione una giusta proporzione di acqua utilizzata al meglio. Non ci sarebbe la produzione di ortofrutta, non ci sarebbe la produzione vitivinicola e anche quella zootecnica diventerebbe difficile perché verrebbe a mancare il cibo per nutrire animali. Non è soltanto un problema economico per le imprese, c’è anche il punto di vista occupazionale, quello della salubrità, della commercializzazione, un problema che tocca tutta la filiera dell’agroalimentare”.

Gli effetti negativi ricadono sulle spalle di tutti noi: “Si può pensare ai territori rivieraschi nei quali aumenta il livello del mare a causa del riscaldamento climatico e il cuneo salino (il movimento sotterraneo dell’acqua del mare verso l’entroterra, nda) che colpisce intere aree agricole vitali per l’equilibrio ambientale. Uscendo dall’agroalimentare l’assenza di acqua si ripercuote sul turismo, sulla fruibilità del territorio e sullo stile di vita che siamo abituati a condurre”.

Le soluzioni

Serve un’ottica di pianificazione soprattutto sul breve e medio periodo. Il Paese deve arricchirsi di infrastrutture davanti a questi nuovi scenari: “Vanno attuati progetti che prevedano la costruzione di una rete di invasi sparsi su tutto il territorio con la funzione di servire l’uso agricolo, quello industriale, quello umano, quello energetico e quello ambientale. Oggi, a fronte di precipitazioni medie di 1000 millimetri l’anno, il Paese è strutturato per trattenerne il 10-11% e questo considerando che il Sud ha costruito una rete di invasi che oggi entrano in crisi ma in tempi più lunghi rispetto al Nord che, al di fuori dei grandi laghi, non ha molti invasi”.

Non è tutto da buttare e c’è spazio per l’ottimismo: “L’Italia può valorizzare il territorio e la sua bellezza, dobbiamo avere il coraggio e la forza di affrontare il tema dei cambiamenti climatici, lasciandoci alle spalle i retaggi del passato e agendo in prevenzione e non in emergenza. Infrastrutture, invasi, risposte in materia di sicurezza del territorio ai cittadini e alle imprese che scelgono di investire nel nostro Paese. L’ambiente va valorizzato a 360 gradi. Dobbiamo avere un unico obiettivo, siamo tutti sulla stessa barca” dice Vincenzi.

Legambiente, nel suo report Città Clima 2021, evoca un piano di adattamento ai cambiamenti climatici, peraltro già allestito da tutti gli Stati Ue, Italia esclusa. Altre misure individuate nel rapporto riguardano la revisione delle norme urbanistiche, il rafforzamento delle autorità di distretto e dei comuni negli interventi contro il dissesto idrogeologico e un programma di finanziamento e di interventi da attuare partendo dalle aree più colpite dal fenomeno.

“Sono ottimista, le istituzioni hanno dato credito e soprattutto hanno valorizzato il lavoro dei consorzi di bonifica, c’è ancora tanto da fare ma saremo noi a spronare e a proporre al Paese nuove soluzioni e progetti” conclude Vincenzi “ANBI è uno degli enti che sta provando a invertire la rotta. Ha presentato un piano per progetti immediatamente realizzabili per un valore di 4,2 miliardi di euro che creerebbero anche 51mila posti di lavoro. Parte di questi progetti è stata già valutata dal ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile. Sul piatto ci sono 1,2 miliardi di finanziamenti concessi per lavori di bonifica e di infrastrutture per il settore idrico. A questi si aggiungono 880 milioni concessi dal ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali per aumentare la resilienza dei sistemi irrigui al fine di adeguarli ai cambiamenti climatici”.