“È fondamentale che a Cop26 vengano adottate misure per contrastare l’emergenza climatica, e che siano davvero efficaci. Non c’è niente di peggio che varare provvedimenti facendo finta che servano a qualcosa quando già si sa che non è così. Lo abbiamo visto nella prima fase della pandemia, quando si riducevano gli orari di apertura dei ristoranti, alle 23 o alle 22 o alle 18… mentre era chiaro che sarebbero servite azioni ben più rigorose”.

Giorgio Parisi, premio Nobel per la fisica, rivolge un appello ai potenti che si riuniranno a Glasgow per la conferenza Onu sul clima: resistere alle pressioni di chi non vuol cambiare fare tutto il necessario per ridurre le emissioni. Ma non solo.

“Tutto questo comporterà costi economici e sociali”, continua lo scienziato italiano. “E i costi andranno divisi in modo equo e solidale, tra le diverse nazioni, facendo pagare di più quei Paesi che nei secoli hanno inquinato di più. Ma anche all’interno della società, non scaricando le spese per la transizione ecologica sulle fasce meno abbienti. È una questione di giustizia ma anche di raggiungimento dell’obiettivo: si rischia un rigetto della società, le cui avvisaglie si sono viste in Francia con i gilet gialli”.

Parisi parla da Trieste, dove è ospite di due importanti istituzioni scientifiche, l’International Centre for Theoretical Physics (Ictp) e la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (Sissa), per parlare del ruolo della scienza.

“Nel mondo moderno è essenziale per qualunque cosa“, spiega ai giornalisti. “Tutta l’elettronica che usiamo quotidianamente, dalle lavatrici agli smartphone non esisterebbe senza la meccanica quantistica. I vaccini contro il Covid sono il frutto di uno sforzo trentennale. E la ricerca sarà fondamentale per combattere il climate change, trasformando l’attuale uso dell’energia che è di stampo ottocentesco”.

Ma cosa possono fare fin da subito gli scienziati per il clima?

“Possono parlare e spiegare al pubblico, cominciando dalle scuole”, risponde Parisi. “Perché i giovani saranno i più colpiti: i posso preoccuparmi per i miei nipoti, ma quello che accadrà tra 50 anni riguarda direttamente i ventenni di oggi”. A chi gli fa notare che gli scienziati sono apparsi divisi e poco rassicuranti durante l’emergenza Covid, il premio Nobel fa notare che “i ricercatori sono molto più litigiosi di quanto si pensi, ma in genere il grande pubblico non assiste a questi scontri, come invece è successo nel periodo della Pandemia. Nel 1974”, ricorda Parisi, “fu scoperta una nuova particella è subito furono pubblicate dieci teorie diverse, alcune delle quali firmate da prestigiosi Nobel. Ebbene solo una era giusta e pochi mesi dopo tutta la comunità scientifica finì per convergere su quella. Il problema è che sul Coronavirus gli scienziati sono stati chiamati a discutere in tv, in talk show costruiti apposta per aizzare gli scontri. Fossi io a organizzarli, prima di mandarli in onda chiuderei gli esperti in una stanza in modo che possano chiarirsi le idee”.

 

C’è poi il capitolo “fuga dei cervelli“. Ed è interessante il punto di vista di uno scienziato che ha vinto il Nobel costruendo tutta la sua carriera in Italia: “Il nostro è un Paese poco ospitale per i ricercatori e in generale per i giovani”, dice Parisi. “Perché lo diventi occorre stanziare più soldi. Come possiamo pensare di competere con la Corea del Sud che investe il triplo dell’Italia in ricerca e innovazione? Ora ci saranno i soldi del Pnrr, ma ricordiamoci che il piano durerà cinque anni: cosa accadrà dopo questa fase di transizione? Quali saranno i finanziamenti ordinari per la ricerca da lì in poi? Io chiedo che gli stanziamenti aumentino di un miliardo l’anno per cinque anni, in modo da pareggiare almeno quello che fa la Francia oggi”.

Infine l’insegnamento. “Non sento la necessità di una ennesima riforma dell’università. Mentre invece andrebbe cambiato il modo di insegnare la scienza ai bambini, perché si capisca fin da piccoli come funziona. Lo aveva già capito Maria Montessori che faceva fare piccoli esperimenti alle elementari. Mentre oggi persino gli studenti del liceo scientifico raramente entrano nei laboratori delle loro scuole”.