Ad aprire il dibattito è stato uno studio statunitense, pubblicato da Nature e ripreso poi con un lungo articolo anche dal Washington Post: nonostante l’emergenza climatica sia sotto gli occhi di tutti, i libri di testo universitari di biologia pubblicati negli Stati Uniti nel 2010 avevano meno contenuti sul cambiamento climatico rispetto a quelli pubblicati negli anni 2000. Avendo passato al setaccio decine di libri di testo di biologia, ampiamente utilizzati negli ultimi 50 anni, i ricercatori statunitensi sottolineano che, se anche è cresciuto lo spazio dedicato agli impatti del cambio climatico, sono diminuite le sezioni dedicate alle soluzioni.

Il sistema universitario e la sensibilità ambientale statunitensi differiscono in modo consistente da quelli europei e in particolar modo da quelli italiani, ma è lecito chiedersi se simili lacune sono rintracciabili anche nel nostro Paese. Tre docenti universitari che ricoprono cariche importanti in istituti ed associazioni che si occupano di cambio climatico fanno il punto su come questo argomento viene trattato nei libri di testo e negli atenei italiani.

 

Il biologo della conservazione

Roberto Cazzolla Gatti insegna biodiversità e conservazione biologica al BiGeA dell’Università di Bologna, è membro dell’IUCN e della Society for Conservation Biology del Konrad Lorenz Institute. Il biologo delinea una situazione preoccupante per quanto riguarda i manuali universitari, che deriva dal sistema di valutazione delle pubblicazioni dei ricercatori. Il problema, per Cazzolla Gatti, è più ampio rispetto alla sola trattazione del cambio climatico.

 

“In Italia la situazione è simile a quella verificata dallo studio statunitense – dice Cazzolla Gatti –  purtroppo i testi di biologia della conservazione disponibili in italiano sono vecchi e spesso rimangono in superficie, non hanno approfondimenti. Il problema principale è che se anche si menziona il cambio climatico, non si accenna mai alle misure per la riduzione delle cause. In particolare, ma questo lo osservo in generale quando si affronta il tema non soltanto nei libri, se si parla di cause si pone l’accento sulla transizione energetica e sui combustibili fossili, mentre parlare dell’impatto dell’agricoltura e degli allevamenti sembra un tabù. Allo stesso modo, quanto incidano gli stili di vita e le produzioni alimentari non viene mai nominato e si trova pochissimo su mitigazione e adattamento“.

Il docente sottolinea poi che in Italia c’è un forte collegamento con i testi statunitensi: “I nostri docenti non sono motivati a scrivere testi didattici, perché non contano come pubblicazioni utili per la carriera universitaria, così spesso abbiamo soltanto traduzioni di testi stranieri, statunitensi in primis. Per gli editori è uno sforzo poco remunerativo curarne la stampa, per cui ci ritroviamo con testi che hanno almeno un decennio”.

C’è poi il problema del punto di vista. Le realtà statunitensi ed europea sono molto diverse: soprattutto se si parla di adattamento, o ancor più di conservazione biologica, i territori fortemente antropizzati dell’Italia hanno bisogno di interventi diversi rispetto agli Stati Uniti.  “Infatti gli esempi forniti sono molto americanocentrici – concorda Cazzolla Gatti – in più nei testi di ecologia e biologia italiani vengono trattati poco i nuovi sviluppi di biologia evoluzionistica, perché si segue sempre la sintesi neodarwiniana della prevalenza del più forte. Invece la genetica e lo studio dei nuovi processi evoluzionistici cooperativi sottolineano il mutualismo, la simbiosi e la cooperazione intraspecifica. Insomma, i testi statunitensi sono molto influenzati dagli aspetti politico-economico e non approfondiscono il tema centrale della sovrappopolazione e del consumo”.

La scienziata del clima

Affronta il problema da un altro punto di vista Donatella Spano, docente di agrometeorologia ed ecofisiologia all’università di Sassari, prima donna presidente della Società italiana per il clima nel 2015, membro dello “Strategic Board” del Centro euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici. Spano pone infatti l’accento sulla necessità, per la comunità scientifica, di ampliare le sue conoscenze e tradurle in pubblicazioni efficaci, che vadano ben al di là dei testi universitari.

“Certamente si può e si deve fare di più a tutti i livelli – dice la scienziata – ma in generale possiamo dire che sensibilità e consapevolezza del cambiamento climatico stanno aumentando. La comunità scientifica è impegnata ad ampliare, generare e fornire conoscenze basate sulle risultanze scientifiche, non solo pubblicazioni altamente specialistiche, ma prodotti informativi e di conoscenza utilizzabili per la didattica nelle università e nelle scuole. Rapporti, manuali, linee guida, piattaforme web, games, video, infografiche, sono risorse anche personalizzate per gruppi target, con l’obiettivo di favorire la diffusione di informazioni solide dal punto di vista scientifico”.

 

Per l’agrometeorologa, insomma, se anche i testi universitari fossero carenti, i docenti hanno a disposizione molto materiale da rielaborare in modo personale. “L’approccio della didattica attuale richiede un’intermediazione personalizzata delle conoscenze in contesti sempre più interattivi rispetto alla somministrazione delle informazioni dall’alto verso il basso e unidirezionale. – sottolinea Spano – L’uso del manuale o libro di testo, nel senso classico, è il punto di partenza per il docente, che può poi costruire le proprie lezioni sulle risultanze scientifiche contenute nelle pubblicazioni di settore, o sintetizzate in volumi e rapporti specifici”.

“In un recente studio sulla produzione scientifica relativa all’adattamento al cambiamento climatico si evince una tendenza di crescita gigantesca del numero dei lavori che è passato da 1.188 pubblicazioni (10,3%) nel periodo 1978-2010 a 4035 lavori (35,1%) tra il 2011 e il 2015 fino a 6.283 (54,6%) negli anni 2016-2020. – conclude l’agrometeorologa –  Esiste un impegno concreto della comunità scientifica a lavorare in una prospettiva di ricerca e didattica multidisciplinare, ma è anche vero che si ha necessità di una didattica più strutturata relativamente alle scienze del clima, perché queste si avvalgono del contributo di scienziati di diversi settori disciplinari e che utilizzano le informazioni climatiche per le proprie ricerche (climatologi, fisici, chimici, geografi, agronomi, economisti, ecc.). Da questa idea possono nascere nuovi corsi di studio finalizzati a nuove professionalità, che avranno necessità di nuovi libri di testo”.

Il biologo marino

Anche Roberto Danovaro, docente di biologia marina ed ecologia all’università Politecnico delle Marche, fino a luglio 2022 presidente della Stazione zoologica “Anton Dohrn”, componente della commissione VAS (valutazione impatti ambientali ) del Ministero ambiente e sicurezza energetica, si concentra più sulla strategia didattica complessiva che sui manuali utilizzati. “Ho qualche riserva sullo studio americano da cui si è partiti per parlare della situazione italiana – osserva – perché analizza il numero di frasi, mentre bisognerebbe valutare anche il loro contenuto”.

 

“Secondo me il problema è un altro – spiega Danovaro – e riguarda i docenti. Chi insegna spesso non è preparato, perché non ha studiato quanto è messo a disposizione dalla comunità scientifica da anni e ha perciò difficoltà a trasmettere quel che non conosce. Più che lo studio sui libri di testo – aggiunge l’accademico – mi aveva colpito un’altra ricerca che già nel 2016 aveva sottolineato come, sebbene la maggior parte degli insegnanti di scienze statunitensi includa le scienze del clima nei propri corsi, ha insufficiente comprensione dei fenomeni, cosa che può ostacolare un insegnamento efficace”.

 

“Un po’ come succede nel dibattito pubblico – conclude Danovaro – molti insegnanti ripetono in classe affermazioni scientificamente non supportate. Una maggiore attenzione alle conoscenze, ma anche ai valori, degli insegnanti è fondamentale. Tuttavia, se non ci limitiamo ai testi universitari, va sottolineato che in Italia nelle scuole dell’obbligo ambiente e cambiamenti climatici sono trattati molto meglio rispetto al passato. Quanto ai manuali universitari, posso dire che proprio di recente la casa editrice del mio testo di biologia marina mi ha chiesto di aggiungere parti sul cambio climatico”.