È mattina presto quando incontro Alessandra e i suoi due soci: è in partenza per Roma, per un progetto sulla sensibilizzazione delle donne nelle materie Stem. Difficile trovare una testimonial più adatta: 31enne salentina, Alessandra Accogli è arrivata a Milano per laurearsi al Politecnico in ingegneria dei materiali e nanotecnologie, ha effettuato il dottorato di ricerca tra Milano e il Mit, da cui è tornata, causa pandemia, per fondare Sinergy Flow insieme a Gabriele Panzeri, pari età nato sulle sponde dell’Adda (cto), e al milanese Matteo Salerno (coo). L’azienda, di cui Alessandra è ceo, si chiama come il loro prodotto e ha vinto nel 2021 il Premio nazionale innovazione dell’Associazione italiana degli incubatori universitari e delle Business Plan Competition – PNICube, “ma anche, nel 2020, lo “Switch2Product” del Politecnico, che ci ha permesso di passare dalla R&D del Politecnico”, precisa la ceo.

In questi laboratori è nata Sinergy Flow, “una batteria a celle di flusso composta da due parti. La prima, detta ‘stack’ è l’hardware, la batteria vera e propria. Due serbatoi esterni pompano una soluzione elettrochimicamente attiva [loro la chiamano “la chimica” nda]  nell’hardware. Quindi dimensionando l’hardware possiamo definire la potenza, mentre dimensionando i serbatoi definiamo l’energia che può essere accumulata”, spiega Gabriele. Mentre infatti nelle batterie al litio dei nostri smartphone il rapporto potenza/energia è fisso, la tecnologia a celle di flusso è modulare, scalabile. “Adatta ad applicazioni in cui è necessario uno stoccaggio nell’ordine delle decine o centinaia di megawattora, a supporto dei grandi parchi eolici e solari”, continua il giovane cto.

In sostanza, Sinergy Flow si candida a rompere, finalmente, il collo di bottiglia delle rinnovabili: la produzione intermittente e la difficoltà di stoccare l’energia quando c’è per immetterla in rete quando serve. C’è un problema, però: al momento le batterie al litio possono essere usate per due, massimo quattro ore e quelle a celle di flusso hanno un limite di 10 ore. Mentre per avere una rete in grado di funzionare H24, 7 giorni su 7 serve una capacità di almeno 20 ore. Ed è qui che arriva Sinergy Flow: “Possiamo aumentare facilmente la capacità di accumulare e restituire energia, semplicemente usando più stack e aumentando il volume dei serbatoi. E stiamo lavorando nell’intervallo tra 20 e 50 ore”, spiega Gabriele. “È un cambio di paradigma – interviene Alessandra – superare questa barriera, dovuta a fattori economici e tecnici, permetterebbe di raggiungere gli obiettivi di abbattimento di CO2 che ci siamo posti per il 2030 e il 2050″.

Il segreto di Sinergy Flow è “la chimica”, scoperta da Alessandra. “Fin da subito la mia idea è stata produrre una batteria che usasse materiali abbondanti e sostenibili. Alla fine mi sono imbattuta nello zolfo: è disponibile ovunque a basso costo, come sottoprodotto di varie lavorazioni industriali, a partire dalla raffinazione di petrolio e gas”. “Sinergy Flow costa tra i 30 e i 150 $/kWh: il costo diminuisce quanto più aumenta la durata di accumulo, perché quello che cresce sono i serbatoi, cioè lo zolfo che fa da elettrolita, non l’hardware, più caro”. Le batterie concorrenti, al vanadio, costano 500-600 $/kWh. Il vanadio è raro, quindi caro, e geolocalizzato, soprattutto in Cina. “Invece lo zolfo – spiega Alessandra – è “democratico”: è ovunque ed è economico, un bel vantaggio per accorciare la supply chain quando inizierà, si spera, la produzione in volumi. E poi aiuta a combattere gli oligopoli geopolitici e favorisce l’indipendenza energetica delle comunità. Vediamo oggi quanto siamo dipendenti dalla Russia…”.

Ma allora perché non c’è la coda di investitori alla porta delle vostra sede? “Forse perché fino all’11 aprile    – sorride Alessandra – non avevamo una sede legale. In realtà stiamo parlando con diversi fondi di investimento, ma prima di aprire la  campagna, vogliamo definire alcuni dettagli sulla licenza del brevetto e la proprietà intellettuale. Ci siamo quasi: il round di finanziamento dovrebbe chiudersi entro l’estate. Vogliamo creare un modulo progettato e prodotto interamente da noi, con materiali a basso costo e riciclabili, una visione di economia circolare a cui teniamo molto; questo richiede capitali nell’ordine di 1,5 milioni di euro”.

Prima di partire, Alessandra torna sulla questione donne e Stem. “Sono ancora troppo poche le donne nel deep tech e mentre studiavo di problemi ne ho avuti. Invece l’ambiente con cui ci stiamo interfacciando ora è molto meritocratico, la competenza non ha sesso. Certo, mi aiuta il fatto di essere imprenditrice, fossi in un ambito più gerarchico non so se tutto filerebbe così liscio. C’è ancora tanto da fare”.