Quando, nel 1844, William Turner dipinse “Rain, steam and speed” (Pioggia, vapore e velocità) decise di rappresentare un treno della Great Western Railway, la ferrovia, che dal 1833 collega Londra all’Ovest dell’Inghilterra e al sud del Galles. E non fu l’unico. Questo mezzo di locomozione – utilizzato all’inizio per trasportare carbone e capace di trasformare il paesaggio rurale e urbano – ha ispirato altri pittori (tra cui Man Ray), scrittori (come Charles Dickens, Émile Zola o Agatha Christie) e cineasti (da Fred Zinnemann a Alfred Hitchcock). Le sbuffanti locomotive continuano ad affascinare ancora oggi, così come, ancora di più in questo tempo difficile per gli spostamenti, c’è il desiderio di abbandonarsi dietro un finestrino a guardar scorrere il paesaggio. In attesa di poterlo fare davvero, si può viaggiare – dall’India, al Sudafrica dell’apartheid, negli Stati Uniti e nella Vecchia Europa – attraverso i racconti de “La storia prende il treno” di Sophie Dubois Collet (Add editore, traduzione di Enrico Pandiani), che ripercorrono la storia delle prime linee ferroviarie e delle prime stazioni, all’inizio del XIX secolo fino ai tour di grandi uomini e testimonial, tra reali e politici. In carrozze spesso simili a salotti, con poltrone di velluto e lampade Art Déco spesso si prendono decisioni importanti e si tengono incontri ufficiali.

Una lettura che fa scoprire anche curiosità e aneddoti. Lo sapevate che Napoleone III amava spostarsi in treno? Non solo perché è il mezzo di trasporto più rapido, ma anche perché questo gli permetteva di incontrare il suo popolo in modo meno formale. «Per ciascuno dei viaggi che compie, le differenti compagnie gli mettono a disposizione una vettura speciale ma, allo scopo di garantire la sua sicurezza e quella della sua famiglia, nel 1856 la Compagnia ferroviaria Parigi-Orléans, un’antica società ferroviaria privata, ordina la costruzione di un treno imperiale. Inizialmente è composto da sei carrozze: una prima vettura “bagagliaio” per le valigie, una seconda arredata, detta “Salone per gli aiutanti di campo”, una terza che serve da ufficio, una quarta per sgranchirsi le gambe e una quinta per le dame di compagnia, che comprende anche la camera della coppia imperiale, con toeletta e uno spazio per custodire i vestiti. La sesta, infine, è nuovamente destinata ai bagagli», scrive l’autrice.

Anche l’imperatrice Sissi ama viaggiare, in incognito, a bordo dei vagoni che si fa allestire a suo piacimento. Ben due. «Il primo, con la camera da letto e il bagno, è decorato con stucchi, legni dipinti, specchi e dorature; tessuti di colore verde fasciano pareti e poltrone. La seconda carrozza è un salone arredato con divani confortevoli e spesse tende color crema alle finestre, per proteggere l’intimità dell’illustre passeggera». Ed è in treno che, nell’estate del 1875, decide di recarsi sulla costa normanna, per respirare aria di mare come le ha consigliato il medico della corte imperiale.

Tra le pagine, emerge anche la storia di Gandhi sull’ingiustizia e l’assurdità della discriminazione razziale, quando in Sudafrica, allora ventiquattrenne (nel 1893), viene invitato a sistemarsi nel carro merci, perché un passeggero bianco non vuole sedersi al suo fianco in prima classe, e al suo rifiuto invitato a scendere dal treno. «La mattina invia dunque un telegramma al direttore della compagnia ferroviaria che, pur prendendo le difese dei suoi impiegati, darà disposizioni perché il viaggio di Gandhi possa giungere a termine nel migliore dei modi», si legge.

Un’altra meraviglia è il treno di Sylt che collega l’isola tedesca – definita la Saint-Tropez del Nord, al confine con la Danimarca – alla terraferma dalla diga Hindemburgdamm. Si sale in carrozza a Niebüll e, dopo una ventina di minuti, si giunge in questo luogo idilliaco, punteggiato di dune, spiagge di sabbia bianca, grandi brughiere e roseti.

Negli anni Sessanta sui suoi vagoni si potevano incrociare celebrità come il miliardario Gunther Sachs accompagnato dalla moglie Brigitte Bardot, o l’attrice Romy Schneider. La cancelliera Angela Merkel è tra coloro che amano percorrere la ferrovia sulla diga, per potersi riposare sulla più settentrionale delle isole tedesche, che nulla ha perduto del suo fascino.

E come dimenticare il viaggio di Barack Obama, nel 2009, da Philadelphia, in Pennsylvania – dove venne firmata la Dichiarazione d’Indipendenza – alla stazione di Washington, per rendere omaggio all’uomo che gli è stato d’esempio, Abramo Lincoln

L’autrice si sofferma, poi, su alcuni tratti di ferrovia del Belpaese, tra cui la linea Napoli-Portici, la prima ferrovia italiana, che, all’alba del 3 ottobre 1839, sta per essere inaugurata da Ferdinando II, re delle Due Sicilie. La popolazione di Napoli e dintorni si prepara ad assistere a un grande avvenimento. Per avere la migliore visuale sul treno, alcuni si sono addirittura portati da casa delle sedie che sistemano sui prati e nei giardini lungo la ferrovia. Altri tentano di avvicinarsi il più possibile ai binari, ma vengono allontanati dai gendarmi a cavallo. Durante i quaranta giorni successivi all’inaugurazione, il treno accoglierà non meno di 85mila passeggeri che lo utilizzeranno più per curiosità che come mezzo di trasporto.

Infine, non si può tralasciare la stazione Roma Termini, che si sarebbe dovuta chiamare stazione centrale delle Ferrovie romane e che somiglia alla Gare de l’Est di Parigi. È composta da un edificio centrale, con strutture in ferro e vetro, e da due corpi laterali dedicati alle partenze e agli arrivi. Dopo varie vicissitudini e cambi di progetto, i lavori riprendono secondo l’architettura razionalista. La hall monumentale che affaccia su piazza dei Cinquecento, con la sua vetrata modernista, è considerata uno degli esempi più significativi dell’architettura italiana del dopoguerra. «Nel 1953 Vittorio De Sica la userà come set per il film “Stazione Termini”, con Jennifer Jones. Le inquadrature esterne dell’edificio e le lunghe sequenze girate nella hall, alle biglietterie, nel ristorante e sulle banchine, sono una testimonianza preziosa sull’aspetto che la stazione aveva negli anni Cinquanta. Anche Fellini, nel 1986, vi girerà qualche scena del film “Ginger e Fred”».