Siamo arrivati ovunque: anche negli angoli più remoti del Pianeta c’è spesso traccia delle nostre infrastrutture. Ma soprattutto in quelle che gli scienziati chiamano Key Biodiversity Areas (KBAs), ovvero aree che contribuiscono globalmente e in modo sostanziale alla salvaguardia della biodiversità. A mostrarcelo sono i risultati di uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Biological Conservation, condotto da un team di ricercatori del BirdLife International, del WWF e del RSPB Centre for Conservation Science, in collaborazione con l’Università di Cambridge (Regno Unito).

 

In che modo le nostre infrastrutture possano minacciare la sopravvivenza di altre specie animali è piuttosto intuitivo: pensiamo all’inquinamento atmosferico che producono, ma anche a quello luminoso e acustico, alla frammentazione degli habitat, all’aumento della mortalità diretta a causa di incidenti, e si potrebbe proseguire ancora a lungo. Naturalmente le infrastrutture ci servono per sopravvivere e, anzi, sono considerate come un simbolo di sviluppo civile e sociale. E in effetti lo sono. Allo stesso tempo, spiegano gli autori dello studio, è preoccupante che la nostra impronta (in senso metaforico e non) sia riscontrabile nella maggior parte dei siti considerati come critici per la sopravvivenza della fauna selvatica.

Percentuale di KBA in ogni Paese in cui è presente almeno un tipo di infrastruttura
Percentuale di KBA in ogni Paese in cui è presente almeno un tipo di infrastruttura 

“Siamo consapevoli che le infrastrutture siano essenziali per lo sviluppo umano – dice il primo autore Ashley Simkins, studente di dottorato presso l’università di Cambridge – ma la questione è costruire in modo intelligente. Questo significa, idealmente, evitare o quantomeno minimizzare la costruzione di infrastrutture nei siti di maggior rilievo per la biodiversità. E se l’infrastruttura necessita di essere costruita lì, allora dovrebbe essere progettata in modo da causare il minor danno possibile, e gli impatti dovrebbero essere più che compensati altrove”.

 

Il gruppo di ricerca riporta di aver rilevato la presenza di qualche tipo di infrastruttura nell’80% delle oltre 15mila Key Biodiversity Areas analizzate. Principalmente si tratta di strade (75%), ma anche di linee elettriche (37%) e di centri urbani (37%), e, si legge ancora nell’articolo, per il momento la questione riguarda soprattutto Europa, Nord e Sud Africa e Brasile. Nel prossimo futuro, stando alle previsioni degli autori, la costruzione di nuovi impianti di estrazione mineraria o di combustibili fossili impatterà soprattutto sulle KBAs del Brasile, dell’Africa centrale e del Sud-Est asiatico.

“In occasione della Cop15 delle Nazioni Unite sulla biodiversità, tenutasi a Montreal lo scorso anno – spiega Stuart Butchart, co-autore dello studio e scienziato responsabile del BirdLife International – i governi si sono impegnati a fermare le estinzioni causate dall’uomo. La vasta distruzione o degradazione degli habitat naturali all’interno delle KBAs potrebbe portare a estinzioni su larga scala, quindi le infrastrutture esistenti all’interno delle KBAs devono essere gestite in modo da ridurre gli impatti, e il loro ulteriore sviluppo in queste aree dovrebbe essere evitato il più possibile”.