“Mi sento assonnata, ma tutto sommato sto bene. Certo, qui si lavora e si cammina molto, ma per ora, a parte il sonno, lo sciopero della fame non mi sta dando problemi. Bevo moltissima acqua per riempire lo stomaco”. Melissa J. è a Cop27 perché consulente della delegazione di un Paese latinoamericano. Ma è anche una attivista di Scientist Rebellion. E non tocca cibo da tre giorni. Inizialmente, per dare visibilità alla sua protesta, aveva pianificato di indossare un cartello con il conto alla rovescia dei giorni senza mangiare, ma la sua delegazione nazionale glielo ha impedito, convinta che fosse una attività non consentita dall’Onu, e ha minacciato di privarla del pass per la Cop. Per questo Melissa preferisce non svelare il suo cognome e la nazione di appartenenza.

 

Melissa J., perché ha iniziato lo sciopero della fame?

“In solidarietà con le persone che sono colpite dai cambiamenti climatici e che non possono essere qui per far sentire la loro voce. Ma lo faccio anche per solidarizzare con gli scienziati, che negli ultimi 30 anni hanno cercato di avvisare la politica e tutta la società sugli affetti che il cambiamento climatico avrebbe avuto sugli esseri viventi, umani compresi. Ma sono stati ignorati, soprattutto dai policy maker“.

 

Anche lei è una ricercatrice?

“Sì, sto conseguendo un master in gestione sostenibile delle risorse, presso l’Università tecnica di Monaco, in Germania”.

 

Sono sempre di più gli scienziati che decidono di protestare. Ce ne sono anche qui a Cop27?

“Ce ne sono molti, ‘infiltrati’ nelle diverse delegazioni. Stiamo facendo del nostro meglio per dire la verità e per fare in modo che le nazioni più responsabili della crisi climatica paghino per i danni che hanno causato”.

 

Lei è riuscita ad ottenere qualcosa all’interno della sua delegazione?

“Quando sono arrivate le prime bozze del testo finale, ho suggerito di inserire la salute degli esseri umani come una priorità. Poi lo hanno chiesto anche altre delegazioni, ma nei documenti che circolano in queste ore non c’è ancora un riferimento concreto alla parola salute, come centrale per l’azione climatica”.

 

Qual è l’obiettivo principale del suo sciopero della fame?

“Contribuire a esercitare quella pressione necessaria per portare le delegazioni qui a Sharm a conseguire un vero risultato, soprattutto sul fondo per il Loss and damage per le nazioni vulnerabili”.

 

Aveva mai protestato in questo modo?

“No è la prima volta che faccio lo sciopero della fame. Anche se una volta da bambina decisi di farlo per salvare la vaquita marina (focena del Golfo di California, ndr) dall’estinzione. Il giorno dopo non seppi resistere alla fame…”.

 

E stavolta quando riprenderà a mangiare?

“Alla fine di questa Cop27. Ma se ci sarà un documento finale convincente. Altrimenti continuerò fino a che il mio corpo mi permetterà di farlo”.