SHARM EL-SHEIKH. Nel 2013, alla Cop19 di Varsavia, un giovanissimo dirigente della delegazione filippina, prese la parola nella riunione e commosse le centinaia di diplomatici intorno a lui: un tifone si era appena abbattuto sul suo villaggio natale e lui non aveva più notizie della sua famiglia. Oggi Yeb Saño guida la delegazione di Greenpeace International alla Cop27 di Sharm El-Sheikh.

“Purtroppo da quel novembre di nove anni fa non è cambiato molto”, dice Yeb Saño. “Anche allora si parlava di Loss and damage. E siamo ancora qui a farlo. Certo, abbiamo capito meglio gli impatti brutali che ha il cambiamento climatico, ormai lo vediamo in tutti i continenti. Ma nelle trattative cosa è cambiato? Continuano a essere lentissime, un campo di battaglia tra posizioni distanti, dove i soliti che bloccavano i progressi allora continuano farlo anche oggi: Stati Uniti, Unione europea, Australia, Regno Unito”.

Come finirà Cop27?

“Per quello che vediamo ora c’è il serio rischio di un fallimento. Su alcuni temi le divergenze politiche sono profondissime. In particolare, appunto, sugli strumenti finanziari per il Loss and damage, che è il cuore di questa Cop”.

Quali sono i tre obiettivi che Cop27 deve centrare perché sia un successo, secondo Greenpeace?

“Il primo è proprio l’istituzione di un fondo per il Loss and damage. I Paesi ricchi lo vedono come una questione tecnica, ma per i Paesi in via di sviluppo sarebbe una dimostrazione di solidarietà”.

Ma se i ricchi non riescono a mantenere la promessa dei 100 miliardi all’anno dal 2020 al 2025, come pensate che possano prendere impegni finanziari per il ”Loss and damage”?

“Perché stiamo parlando di persone, di vite umane perdute, di colture distrutte, di ecosistemi che scompaiono, di eventi meteo estremi… In questo caso l’argomentazione è di tipo morale. Cop27 dovrà comunque sancire la nascita di un fondo, poi le negoziazioni continueranno su come trovare i soldi da metterci dentro. Si può anche pensare ad altri sistemi per recuperare i soldi, per esempio tassando le compagnie dei combustibili fossili, o usando il crowdfundig: chiunque abbia a cuore il destino degli altri esseri umani potrebbe mettere il suo denaro in questo fondo. Ma finché il fondo non ci sarà, nulla di tutto questo sarà possibile”.

Gli altri obiettivi?

“Occorre un risultato chiaro che aumenti i soldi per l’adattamento: vanno raddoppiati come si è stabilito alla Cop26 di Glasgow. Infine, va sancita la graduale ‘uscita’ dai combustibili fossili, e non la graduale ‘riduzione’ di cui si parla in queste ore”.

Ma l’obiettivo degli 1,5 gradi come soglia all’innalzamento delle temperature è ancora vivo?

“Ogni giorno che ci svegliamo dobbiamo credere che 1,5 gradi sia vivo. Abbiamo tutte le ragioni per batterci perché questo succeda: andare oltre significherebbe produrre un cambiamento climatico catastrofico”.

Greenpeace ha criticato aspramente la presenza a Cop27 di centinaia di lobbisti dell’industria fossile. Il vicepresidente della Commissione Ue Frans Timmermans ha invece detto che è meglio averli qui alla luce del sole, piuttosto che a lavorare nell’ombra.

“Potrei anche essere d’accordo con Timmermans, se i colossi del gas e del petrolio fossero qui per ascoltare le vittime dei problemi che loro hanno creato. La verità invece è che sono qui per indirizzare con le loro ingenti risorse le trattative e togliere spazio alla società civile”.

Il comunicato finale del G20 di Bali è stato interpretato come il via libera a un accordo qui a Sharm. Lei cosa ne pensa?

“Il segnale che arriva da Bali è in realtà debolissimo. Speravamo che i leader riuniti in Indonesia prendessero decisioni più ambiziose sulla finanza, sulla mitigazione, sull’adattamento. Ma non abbiamo visto niente di tutto questo. Certo, la dichiarazione finale poteva anche essere peggiore, almeno hanno confermato gli 1,5 gradi e hanno menzionato i combustibili fossili, ma non è abbastanza per spingere la Cop27 verso il successo, soprattutto sul Loss and damage e sull’abbandono di carbone, gas e petrolio”.

Dal 2013 a oggi la politica climatica non è cambiata. E la sua vita?

“Sono da sette anni a Greenpeace: lavoro sul campo, con le operazioni della nostra organizzazione nel Sudest asiatico, combattendo la deforestazione, battendomi per una transizione energetica pulita. Anche se non vinceremo la nostra battaglia qui nella sala delle riunioni plenarie a Sharm El-Sheikh, continueremo a combattere sul campo accanto alla gente”.