SHARM EL-SHEIKH. Maria Osmarina da Silva Vaz de Lima è considerata la probabile futura ministra dell’Ambiente brasiliano. Aveva già ricoperto quell’incarico tra il 2003 e il 2008, con Lula presidente. E ora che Luiz Inácio Lula da Silva è stato rieletto, la donna simbolo dell’ambientalismo brasiliano, figlia di raccoglitori di gomma e della foresta amazzonica, potrebbe tornare a difendere la natura del più grande Paese sudamericano. Marina Silva era presente a Cop27 insieme a Lula, pronti ad annunciare: “Il Brasile è tornato”.

L'incontro con il presidente Lula alla Cop27 in Egitto
L’incontro con il presidente Lula alla Cop27 in Egitto (afp)

Che misure dobbiamo aspettarci del nuovo governo?

“La prima sarà aggiornare il piano di lotta alla deforestazione, che ha funzionato in passato. Ma questo sarà possibile solo se ricomporremo le squadre tecniche che sono state distrutte. Servirà ristrutturare il bilancio del ministero dell’Ambiente, dell’Ibama (l’Istituto brasiliano dell’ambiente e delle risorse naturali, braccio operativo del ministero), del Chico Mendes Institute for Biodiversity Conservation, del Satellite Monitoring Institute (le rilevazioni satellitari fondamentali per monitorare la deforestazione, ndr). È necessario aumentare ed espandere il budget per poter attuare tutte le misure, ma dovremo aspettare il 2023 in attesa della prossima legge di bilancio. Per la tutela delle foreste serve poi rinforzare la collaborazione internazionale, soprattutto con strumenti di rapido accesso alle risorse, come nel caso del Fondo Amazzonia, per cui abbiamo già ricevuto donazioni dalla Germania e dalla Norvegia e stiamo dialogando con il Regno Unito. Abbiamo anche discusso di utilizzare parte di queste risorse nell’agenda Support for Sustainable Development Communities, per lo sviluppo delle comunità rurali brasiliane, perché non vogliamo che le donazioni siano usate solo per azioni di monitoraggio e controllo. Infine promuoveremo l’agricoltura sostenibile, attraverso le certificazioni e la tracciabilità dei prodotti e attueremo un’attenta pianificazione territoriale, delimitando le terre indigene, liberando le terre occupate illegalmente. Assegneremo queste aree a riserve indigene, per tutelarle e farne un uso sostenibile”.

Che messaggio porta il Brasile a Cop27?

“Il Brasile ha sempre dato l’esempio. In passato abbiamo contribuito a creare il Clean Development Mechanism (un meccanismo del Protocollo di Kyoto che ha permesso di realizzare progetti di riduzione delle emissioni nei paesi in via di sviluppo da parte dei paesi industrializzati, nda), siamo stati il primo Paese in via di sviluppo a impegnarsi in riduzioni volontarie di CO2, abbiamo evitato di rilasciare nell’atmosfera 5 miliardi di tonnellate di CO2. E siamo stati il Paese che più ha contribuito alla riduzione della perdita di biodiversità, dal 2003 al 2008, essendo responsabili dell’80% delle aree protette create nel mondo. Bolsonaro, in soli quattro anni, è stato responsabile della distruzione di un terzo delle foreste vergini che sono state distrutte nel mondo. Noi ora abbiamo la sfida di tornare a dare l’esempio: trasformare le politiche aziendali, le politiche di cooperazione finanziaria, tecnologica e politica, guidate da politiche pubbliche, per rimanere entro l’obiettivo di 1,5°C. Il Brasile si è impegnato a raggiungere la deforestazione zero entro il 2030. Sappiamo che dopo Bolsonaro questa sfida è diventata più complessa. Ma non vogliamo rinunciare a questa idea”.

Uno degli obiettivi di Cop27 è quello di dare un mandato forte alla Cop15 sulla Convenzione per la biodiversità, l’altro grande negoziato Onu che punta a proteggere specie e aree naturali, e che a Montreal a dicembre dovrà produrre un accordo storico su questo tema. Che importanza ha nel negoziato?

“Trovo entrambe le Cop importanti e correlate. Il rischio di perdita di biodiversità è una minaccia per il Pianeta e, soprattutto, per i Paesi poveri, che dipendono dalla loro biodiversità per garantire il cibo alla loro gente. In Amazzonia, ad esempio, le proteine animali provengono principalmente dal pesce. Con il cambiamento climatico, avremo una grande perdita di biodiversità, perché i pesci non saranno in grado di sopportare l’aumento della temperatura. Siamo vicini a questa soglia pericolosa. Per questo la protezione della biodiversità è sempre stata una priorità per il Brasile e l’Amazzonia dovrebbe essere protetta all’80%. Il governo precedente ha sempre ricattato il mondo per avere soldi per proteggere le sue foreste e la sua diversità, noi offriamo cooperazione e condivisione. L’umanità non può sopravvivere senza foreste. Per questo abbiamo bisogno di un meccanismo che ci aiuti a ottenere risorse per espandere le aree preservate in Paesi che hanno mega foreste e sono megadiversi”.

In quale modo?

“Nei negoziati sul clima [con l’accordo di Parigi] si è deciso di movimentare 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2025, ma al momento sono poco più di 80 quelli sborsati. Queste risorse devono essere aumentate perché dobbiamo procedere con la mitigazione, l’adattamento e a creare un meccanismo per contenere le perdite e i danni nei paesi altamente vulnerabili, un tema centrale per i negoziati di Cop27. Servono risorse aggiuntive per compensare quegli Stati che storicamente non hanno contribuito al cambiamento climatico e sono vittime della distruzione causata dal climate change. Questa non è solo una discussione politica, ma etica, umanitaria. Capiamo che è un momento difficile, c’è una guerra e una crisi, che spiega le difficoltà a allocare risorse. Ma così come è grave il problema della guerra, è grave anche il problema del cambiamento climatico. Dovremo imparare a risolvere entrambe le cose”.

Che cosa significa per il Brasile vostra vittoria?

“La rielezione del presidente Lula ha significato una scelta per la democrazia, per la protezione dell’ambiente, della foresta amazzonica, dei popoli indigeni, per la lotta alle disuguaglianze sociali. Bolsonaro ha decostruito tutte le politiche sociali orientate al nuovo secolo, guarda ancora al Brasile come un politico dei primi anni del Novecento. Il Paese non avrebbe sopportato altri quattro anni di Bolsonaro: avrebbe cambiato l’ordinamento della Corte Suprema, piegando le regole del gioco per perpetuarsi al potere. Certo, ha ancora la maggioranza al Congresso, ma pensiamo che questo cambierà”.

Il Brasile rimane spaccato in due.

“Sessanta milioni hanno votato per Lula, 58 milioni hanno votato per Bolsonaro. Governare sarà un processo delicato, ma possiamo costruire qualcosa che unisca il Brasile, con politiche pubbliche volte alla protezione dell’ambiente, allo sviluppo economico, alla lotta alle disuguaglianze. Riporteremo il Brasile in prima linea sull’agenda ambientale, affrontando il cambiamento climatico e riducendo la perdita di biodiversità”.