Quando è arrivata a Napoli per studiare veterinaria da Guardiaregia, paesino molisano di 700 abitanti immerso nella natura, Michela Spina si è subito avvicinata all’attivismo. Durante il primo sciopero globale per il clima era in Erasmus in Romania. Ha seguito le vicende italiane dei Fridays for Future sui social e una volta rientrata si è messa subito in contatto con il movimento e con le altre realtà locali che da sempre si battono per la città.

Oggi che ha 25 anni ed è all’ultimo anno di università, Michela ha rivalutato la crisi climatica. Che non vede più solo come un problema ambientale, ma connesso a doppio filo alle diseguaglianze sociali. “Prima pensavo in maniera più ingenua e individualista – ammette – e non li avevo mai messi in correlazione. Invece, anche per le conseguenze del riscaldamento globale, il sistema in cui viviamo tende a facilitare chi vive nelle grandi metropoli, chi ha possibilità economiche maggiori. Mentre le persone delle periferie accusano di più e hanno meno possibilità di proteggersi“.

Una consapevolezza che è arrivata dopo anni di attivismo, assemblee e dibattiti. E non l’unica: “Vogliono far passare il messaggio che noi, come singoli, siamo responsabili del cambiamento climatico, ma ho imparato che la vera causa è il modello di sviluppo insostenibile in cui viviamo. Le scelte individuali sono importanti, ma non fondamentali. Il cambiamento più grande deve arrivare dall’alto”.

Il discorso degli attivisti va oltre le catastrofi, ma vuole costruire un ragionamento intersezionale. “Siamo dentro un sistema complesso – spiega Michela – che mosso dall’avidità e dalla fame di profitto dell’uomo bianco occidentale, non fa che ingigantire la crisi climatica. Combatterla significa portare avanti anche una lotta femminista, perché le donne rivestono un ruolo fondamentale nella sua soluzione”.

Per chiedere azioni concrete il 25 marzo l’onda verde napoletana è pronta a tornare a manifestare partendo da piazza Garibaldi. Ci saranno musica e interventi su scuola, femminismo, guerra. “Stiamo anche studiando un’azione più scenografica coi ragazzi di Extinction Rebellion”, svela Michela.

I problemi maggiori di Napoli, e della Campania, si possono riassumere con un solo luogo: la Terra dei Fuochi. I rifiuti, le discariche abusive, gli sversamenti, i roghi. “Basta aprire un balcone al quarto piano in centro per vedere un fumo nero in lontananza”, racconta Michela. E accusa: “La classe politica ne parla troppo poco a causa della presenza forte della camorra in questo territorio. Sicuramente c’è paura, ma a volte anche una convergenza di interessi”.

Oltre ai fuochi illegali c’è anche la questione inceneritori, come l’A2A di Acerra e gli altri termovalorizzatori tra Napoli e Caserta. “Nessuno si pone il problema di come fare a diminuire la quantità di rifiuti da smaltire in questo modo, come agire alla base del problema. Ma soprattutto nessuno si cura dei fumi e delle conseguenze sulla salute della popolazione. Lo Stato ci ha messo troppo tempo a riconoscere il reato di ecocidio. E allora noi attivisti portiamo in piazza le rivendicazioni delle famiglie campane. Vogliamo riportare l’attenzione su queste battaglie dimenticate”.