Meno velivoli in circolazione, collegamenti ridotti e tariffe necessariamente in rialzo. Come sanno tutti quelli che hanno viaggiato nei mesi scorsi e stanno viaggiando in queste settimane festive, imbarcarsi sta diventando un lusso. Ma cosa sta succedendo esattamente? Proviamo a spiegarlo seguendo un’analisi di Bloomberg e le proiezioni della Iata.

Migliaia di voli sono stati eliminati negli anni scorsi dalle programmazioni di hub fondamentali per i collegamenti aerei internazionali e in particolare intercontinentali come Singapore, Doha o Londra Heathrow. E questa è la prima ragione: meno servizi in ogni macroregione rendono più difficile, per i viaggiatori, trovare il volo diretto o la coincidenza giusta, specialmente se si tratta di collegamenti appena fuori dalle tratte più frequentate. Nel complesso, e rispetto all’offerta precedente la pandemia, sono spariti dai sistemi di prenotazione circa 100mila collegamenti. Secondo i dati Oag, nella prima settimana di dicembre si sono registrati 616.330 voli, con un calo del 14% rispetto ai 716.727 nello stesso periodo del 2019.

Di conseguenza, e nonostante la ritrovata voglia di viaggio, la mobilità si è ridotta: a dicembre Cathay Pacific ha operato 95 voli fra Hong Kong e Londra Heathrow contro i 234 voli del dicembre 2019, dicono i dati Cirium riportando un esempio significativo. Meno poltrone a disposizione, prezzi che salgono. E infatti i biglietti costano sempre di più, specialmente per i voli internazionali ma non solo. Nel primo caso, ad esempio, se nel settembre 2019 un volo di sola andata dagli Stati Uniti all’Europa costava in media, escluse le tasse, 390 dollari, nel settembre di tre anni dopo ce ne sono voluti 428. Per uno dagli Usa all’Asia si è passati da 469 a 562 dollari, per l’Australia da 536 a 746. Per l’Europa fino all’Australia, invece, il balzo è stato da 604 a 803 dollari, un po’ meglio per l’Asia dove la soglia è rimasta stabile intorno ai 290 dollari. Dall’Asia all’Australia i collegamenti sono saliti da 268 a 346 dollari.

D’altronde l’industria aerea ha perso quasi 190 miliardi di dollari nel biennio 2020-2021 a causa delle rigidissime restrizioni di viaggio e del quasi totale annichilimento del turismo legato allo svago. Ricordiamo ancora con stupore gli aeroporti (e gli aerei) deserti, i voli fantasma per mantenere gli slot assegnati dall’Unione Europea, i durissimi tagli al personale di cielo e di terra che hanno procurato enormi disservizi in tutti i principali scali europei la scorsa estate, alla prima, vera ripresa del turismo internazionale. La Iata, l’associazione globale del trasporto aereo, ha previsto pochi giorni fa un ritorno alla redditività globale solo nel corso del prossimo anno: le compagnie stanno infatti ancora incassando le perdite derivanti dagli effetti del Covid-19. I primi utili dovrebbero appunto arrivare nel 2023, con margini comunque ridotti dello 0,6% che potrebbero tuttavia lenire in parte il rialzo dei prezzi. Basti pensare che nel 2019 i profitti netti del settore furono 26,4 miliardi di dollari e le previsioni sul 2023 parlano di 4,7 miliardi. Nello specifico, le perdite complessive sono state di 137,7 miliardi nel 2020, 42 nel 2021 e 9,7 nel 2022.

Alla ripresa della scorsa primavera, e alla forte domanda che è arrivata da tutti i mercati globali alla progressiva riapertura delle frontiere, sono poi intervenuti a complicare ancora di più il quadro il costo dei carburanti e l’inflazione. Così, a corto di aerei (i cui leasing erano stati in parte interrotti) e di equipaggi – lasciati a casa in tempi di lockdown e in parte persi per strada – la conseguenza obbligata è stata quella di interrompere i collegamenti: ne sono saltati circa 2mila. Col risultato che i viaggi in aereo sono diventati sempre più di lusso, con poltrone sempre più salate e scelte ridotte. Fra l’altro, la Iata a giugno prevedeva che il traffico passeggeri avrebbe raggiunto l’82,4% dei livelli pre-crisi proprio nel corso dell’anno che sta per concludersi ma pare che ci si fermerà intorno al 70,6%. E non per mancanza di domanda ma appunto di offerta di posti, voli, rotte e aerei. Per un sistema che sta impiegando più tempo del previsto per rimettersi davvero in moto: la domanda dei passeggeri cresca più rapidamente (+21,1%) rispetto alla capacità di trasportarli (+18,0%). Solo il trasporto merci è tornato alla pari e ha aiutato non poco i vettori a cavarsela.

Meno rotte, meno collegamenti e prezzi più alti proprio perché trovare un posto – o almeno, il posto giusto – è sempre più difficile mentre le compagnie ricostruiscono in piedi i network tentando al contempo, come visto, di ritornare a una robusta redditività. Specialmente sui voli internazionali. La capacità totale di posti su voli intercontinentali prima della pandemia ammontava a 14 milioni di poltrone per i vettori dell’Europa occidentale, scesi a 12,3 nel dicembre 2022; 3,2 (dai 3,4) per il Nord-America, 2,6 (da 4,4) per il Sud-Est asiatico; 1,9 (contro 5,9) per la macroarea asiatica settentrionale. Tuttavia, “nonostante le incertezze economiche, ci sono molti motivi per essere ottimisti per il 2023. Il calo dell’inflazione dei prezzi del petrolio e il perdurare di una domanda repressa dovrebbero contribuire a tenere sotto controllo i costi, mentre continua il forte trend di crescita. Allo stesso tempo, con margini così sottili, anche una variazione insignificante di una qualsiasi di queste variabili può potenzialmente spostare il bilancio in territorio negativo. Vigilanza e flessibilità saranno fondamentali” ha detto Willie Walsh, direttore generale della Iata. Stando alle previsioni, in effetti, nel 2023 il numero di passeggeri supererà la soglia dei quattro miliardi per la prima volta dal 2019.