Le Olimpiadi invernali di Pechino che si apriranno il prossimo 4 febbraio saranno le prime a svolgersi soltanto su neve artificiale. Non nevica più nella zona scelta per i Giochi e pensare che sarebbe stato meglio scegliere un’altra sede aiuta poco, perché secondo i dati contenuti in uno studio pubblicato su Current Issues in tourism Il cambio climatico ha modificato per sempre il futuro degli sport invernali“, tanto che se non verrà applicato l’accordo di Parigi, entro la fine del secolo si potrebbe sciare ancora soltanto a Sapporo, sede dei Giochi nel 1972. I ricercatori sottolineano infatti che “l’inverno sta cambiando nelle località dei passati Giochi Olimpici Invernali” e le mutate condizioni della neve o la necessità di sciare su quella artificiale “possono mettere a rischio gli atleti durante questi mega eventi sportivi”.

 

Lo studio si basa su un sondaggio su 339 atleti d’élite e allenatori di 20 Paesi per definire le condizioni eque e sicure per le competizioni degli sport invernali. Le condizioni in questione riguardavano la nebbia, la neve fresca farinosa, la neve artificiale, il ghiaccio, il vento. I risultati mostrano che “la frequenza di condizioni non eque e non sicure è aumentata negli ultimi 50 anni nelle 21 località che hanno ospitano i Giochi invernali e la probabilità di condizioni non sicure aumenta in tutti gli scenari futuri di cambiamento climatico”. In altre parole, se non si attueranno politiche per limitare l’aumento delle temperature, entro la metà del secolo non si potrà più sciare a Torino, Cortina d’Ampezzo (dove si terranno i giochi nel 2028), St. Moritz, Albertville, Chamonix, Insbruck, per citare alcune ex sedi olimpiche europee. Ma neanche a Calgary, Salt Lake City, Vancouver o Nagano: si salverebbero Lillenhammer in Norvegia, Lake Placid negli Stati Uniti e Sapporo in Giappone.

 

In uno scenario a basse emissioni, in cui si applicasse l’Accordo di Parigi sul clima, si salverebbero Calgary, Vancouver, Salt Lake City, ma nessuna delle località alpine, né dei Balcani e tantomeno Sochi in Russia. Se infine le emissioni globali continueranno ad aumentare come accaduto negli ultimi due decenni, i ricercatori rilevano che delle passate città sedi dei Giochi soltanto una potrebbe essere ancora adatta entro fine secolo, Sapporo, in Giappone, sede nel 1972.

Sempre meno sedi per gli sport invernali

La ricerca può essere uno strumento per le scelte del Comitato olimpico, ma in ballo non ci sono soltanto la sicurezza degli atleti, il futuro di grandi manifestazioni sportive e un ampio comparto economico che si basa sugli sport invernali. Il problema, come osserva a commento dello studio Antonello Pasini, fisico climatologo del Cnr e docente di Fisica del clima all’università di Roma Tre, è che “al di là delle ex sedi olimpiche la situazione è critica un po’ dovunque sulle montagne del mondo. I ghiacciai stanno arretrando e la quota neve sta aumentando”.

 

“I ghiacciai montani stanno ancora rispondendo lentamente al riscaldamento degli ultimi decenni – spiega Pasini – e non sono in equilibrio con la temperatura attuale, cosicché se anche la temperatura si stabilizzasse ai valori attuali, i nostri modelli mostrano come essi perderebbero comunque un 30-35% della loro superficie (e del loro volume) nel 2100. Ciò che dobbiamo evitare è che i ghiacciai si riducano al 5% della superficie attuale, come potrebbe avvenire nello scenario climatico business as usual, cioè se non facessimo nulla per limitare le emissioni di gas serra”.

Neve artificiale e impatto ambientale

Agire subito per ridurre le emissioni è la prima, improrogabile iniziativa da prendere. Invece, per disputare comunque le Olimpiadi si ricorre a innevamento artificale, con possibili ripercussioni sull’ambiente. Da giorni, a Zhangjiakou i media riferiscono di una incessante attività dei cannoni per innevare le piste, un procedimento che oltre a implicare un dispendio di energia intacca anche le risorse idriche. I responsabili dell’organizzazione si premurano di precisare che il prelievo di acqua per creare la neve artificiale non avrà impatto sulle risorse idriche locali. “Prima di costruire gli impianti sulle montagne del Guyangshu – afferma il responsabile e manager degli impianti Li Zhenlong sul sito ufficiale dei Giochi – abbiamo calcolato il volume dell’acqua che può essere raccolta in superficie dalle montagne in estate grazie a pioggia e sorgenti. I nostri calcoli dimostrano che c’è acqua a sufficienza per produrre neve artificiale e rifornire le strutture. È stato poi creato un bacino idrico della capacità di 200mila metri cubi per raccogliere l’acqua per alimentare  gli impianti di e non ci sono prelievi dalle sorgenti sotterranee”.

 

Le rassicurazioni degli organizzatori cinesi vanno prese per buone, tuttavia Pasini mette in guardia sull’uso esteso dell’innevamento artificiale: “Nevica sempre più in alto e produrre neve artificiale diventa sempre più difficile e oneroso in termini di risorse idriche, che spesso servono a scopi più essenziali e vitali. Con l’aumento di temperatura aumenta solitamente anche il rischio di valanghe, a causa di ondate di calore o di pioggia su neve preesistente. Credo che, almeno sulle nostre Alpi, difficilmente l’attività sciistica sarà sostenibile a quote inferiori ai 2000-2200 metri nel prossimo futuro“, dice il fisico del clima.  La neve artificiale, insomma, non può essere una soluzione, perché costa tanto sotto ogni punto di vista e con le temperature alte ha comunque vita breve.

I dubbi sul cloud seeding

La Cina, ma non solo, ben prima degli imminenti Giochi olimpici ha tentato strade diverse dall’innevamento artificiale per salvare sport e turismo invernali. È del gennaio 2017 l’annuncio del governo, riportato dal South China Morning Post di un progetto milionario per modificare le precipitazioni con il sistema del cloud seeding.  

 

“La semina delle nuvole” è una tecnologia che ha 75 anni e che molti scienziati ritengono ancora poco affidabile. Si basa sulla premessa che alcune nuvole contengono grandi quantità di acqua “liquida super raffreddata”, o acqua che esiste in uno stato liquido al di sotto del punto di congelamento. Aggiungendo a quest’acqua a temperature inferiori a circa meno 5 °C particelle di ioduro d’argento si può innescare la formazione di cristalli di ghiaccio, provocando nevicate. Per la “semina” sono necessari aerei o razzi e si tratta perciò di un procedimento comunque dispendioso e, ancora una volta, molto impattante dal punto di vista ecologico.

Studi del 2014  ritenevano poi che i risultati del cloud seeding fossero ancora troppo discordi, soprattutto a seconda del luogo e delle modalità con cui la tecnica veniva impiegata. Lo scorso novembre, però, il Washington Post riferiva di buoni risultati del cloud seeding negli Stati Uniti, grazie a un programma finanziato nell’Idaho e nell’Oregon occidentale da un privato, la Idaho Power, interessata ad avere precipitazioni sufficienti per alimentare le sue centrali idroelettriche.

 

Il cloud seeding per ottenere la neve però è ancora assai discusso. “Chi pensa alla inseminazione artificiale delle nubi per far nevicare – osserva Pasini – non tiene in conto che anche questa attività potrebbe essere inutile se la temperatura nei bassi strati dell’atmosfera fosse troppo alta, perché in questo caso la neve si potrebbe tramutare in pioggia, cosa che complicherebbe ulteriormente la situazione”.

La soluzione resta sempre la stessa: agire contro il cambio climatico

Si dovrà rinunciare a sport invernali e Giochi olimpici? “Le Olimpiadi invernali andranno tenute in stazioni di alta quota – prevede ancora il fisico del clima -, ma certo le nuove condizioni climatiche potranno mettere a rischio la sicurezza degli sciatori: sempre più queste manifestazioni mostrerebbero a tutti le difficoltà che l’ambiente montano sta riscontrando col riscaldamento globale”.

 

L’adattamento, come sottolineano tutti gli esperti, sarà indispensabile, ma va programmato con soluzioni sostenibili a lungo termine: “In queste condizioni, ovviamente bisognerà anche adattarsi, – conferma Pasini – creando invasi che possano trattenere la maggiore quantità possibile di riserve idriche. Ma occorre tener presente, ancora una volta, che utilizzarle per innevamento artificiale va in conflitto con altre esigenze più impellenti. Insomma, sarà il caso che pensiamo seriamente a rallentare e infine a fermare il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici ad esso collegati se vogliamo salvare i nostri ambienti montani e le attività che vi si svolgono”.