Fa bene al pianeta, perché punta su sistemi di coltivazione e allevamento diversificati. Evitando l’utilizzo di fertilizzanti, pesticidi e antibiotici. E fa bene all’uomo, in termini di sicurezza alimentare e apporti nutrizionali. Ma ora, a quanto pare, l’ultimo semaforo verde per l’agroecologia arriva dai suoi impatti benefici su larga scala dal punto di vista sociale ed economico. Come a dire: coltivare così non costa di più, in termini di prospettiva.

Per la prima volta, uno studio ha passato in rassegna i processi di implementazione di pratiche agroecologiche in tutto il mondo, partendo da 13 mila articoli, pubblicati tra il 2000 e il 2022, nei quali sono stati analizzati parametri differenziati come il reddito, il lavoro e i costi di produzione. Il risultato? “I dati dimostrano con chiarezza la fattibilità dell’agroecologia da una prospettiva sociale ed economica, nel 51% dei casi abbiamo individuato risultati favorevoli in termini di reddito, produttività ed efficienza“, spiegano gli autori della ricerca, un team della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dell’ISARA (Institut supérieur d’agriculture Rhône-Alpes) di Lione, con il sostegno e al Centro di conoscenza per la sicurezza alimentare e la nutrizione globale del Centro comune di ricerca della Commissione europea (JRC). Lo studio – pubblicato su Agronomy for Sustainable Development (qui il .pdf) –  sottolinea dunque gli effetti tendenzialmente positivi su reddito, ricavi, produttività ed efficienza.

Le idee

Cosa vuol dire una filiera del cibo sana

di Francesco Sottile*

“Proprio così. – annuisce Paolo Bàrberi, co-autore della pubblicazione, docente di Agronomia e coordinatore del gruppo di ricerca di Agroecologia alla Scuola Superiore Sant’Anna – Il nostro lavoro ha dimostrato che, già a livello di pratiche agricole, l’agroecologia è spesso più conveniente dell’agricoltura convenzionale per una serie di parametri socio-economici.  E se allarghiamo il campo all’intera filiera agro-alimentare, la convenienza appare ancora più evidente. Infatti – prosegue – i sistemi agroecologici sono spesso caratterizzati da filiere corte o cortissime, in cui il produttore trattiene in tasca, per così dire, gran parte del valore aggiunto non “regalandolo” agli intermediari o al distributore finale“.

Ma lo studio non nega l’incertezza legata alle sfide aperte per requisiti e per costi della manodopera, che “richiedono politiche appropriate per sostenere gli sforzi agroecologici”, sottolinea Ioanna Mouratiadou, ricercatrice dell’ISARA e autrice principale dello studio. Anche perché i risultati sociali ed economici dipendono in larga misura da fattori quali l’ambiente geografico, la scala temporale della transizione o le condizioni agricole.

La ricerca evidenza, peraltro, come i risultati più significativi siano stati ottenuti nel Sud del mondo, in sistemi che utilizzano l’agroforestazione, la combinazione tra alberi, colture annuali e allevamento, o la consociazione, la coltivazione contemporanea di due o più colture sullo stesso terreno. O ancora l’assenza o la riduzione della lavorazione del terreno come pratiche agroecologiche.

“In più – annota Bàrberi – molti produttori agroecologici trasformano il prodotto o nelle loro aziende o sfruttando strutture co-gestite con altri agricoltori, ottimizzando i costi e creando valore aggiunto. Tutto questo permette loro sia di restare più facilmente sul mercato che di rappresentare un volano di crescita economica per un intero territorio”.

Ai decisori politici vengono dunque consegnati dati nuovi che colmano l’assenza di prove scientifiche consolidate sull’argomento e parrebbero incoraggiare la cosiddetta transizione agroecologica. Una transizione che i ricercatori definiscono “necessaria con urgenza per realizzare sistemi agricoli e alimentari veramente sostenibili, dalla scala locale a quella globale”.

“I nostri sono risultati che dimostrano come le proteste degli agricoltori, in corso in tutta Europa, pur esprimendo un disagio reale, siano dirette verso l’obiettivo sbagliato. – segnala BàrberiLa transizione agroecologica, sostenuta dal ‘Green Deal’dell’Unione Europea, può in effetti migliorare il reddito degli agricoltori. Questi ultimi e i loro sindacati dovrebbero quindi abbracciare questa transizione senza timori, sapendo che porterà benefici per loro, per l’ambiente e per la società in generale”. Bàrberi è tra i massimi esperti in Italia di agroecologia: il suo approccio si distingue per la ricerca partecipativa. “Scendiamo in campo con gli agricoltori, dialoghiamo con loro, comprendiamo esigenze e difficoltà e individuiamo soluzioni ad hoc per ciascuna realtà, lontani dalle logiche della standardizzazione agricola, che come sappiamo ha generato importanti criticità”.