Gli ultimi anni, segnati dal fenomeno della “great resignation” e dallo smart working, hanno cambiato le dinamiche del turismo. Certo rimane quello di massa e stagionale ma – come dimostrano gli aggiornamenti di piattaforme come Airbnb di cui abbiamo spesso parlato, immaginati proprio in questa direzione – c’è un fenomeno sempre più ampio di persone che, sfruttando l’elasticità data dal lavoro agile o dal fatto di essere liberi professionisti, abitano i luoghi anche fuori stagione e per soggiorni più lunghi. Alcuni uniscono lo smart working a una vita di contesto vacanziero o comunque non necessariamente metropolitano, altri invece non vivono questa separazione muovendosi (o stabilendosi) dove preferiscono e lavorando come sempre: le sfumature sono davvero molte. Ma come fare a scegliere le destinazioni giuste per uno smart working senza intoppi?

In Italia, ovunque. All’estero….

Una recente indagine dell’Associazione italiana nomadi digitale realizzata insieme ad Airbnb spiegava per esempio che mezzogiorno e isole sono destinazioni gradite complessivamente da circa un intervistato su due (il 25% sceglie il Sud, il 18% le isole). Il 33% rimane, invece, non ha problemi a indicare “tutta Italia”. Rimanendo, ovviamente, dentro ai confini. E all’estero? Vale la pena partire da una cifra: le stime dicono che ci siano almeno 35 milioni di cosiddetti “nomadi digitali” nel mondo e che l’80% di essi preferisce rimanere in un posto per un periodo variabile dai tre ai nove mesi. Fornendo fra l’altro un contributo importante alle economie locali, specialmente in certi casi. Che si tratti di periodi brevi o lunghi, lavorare muovendosi non è ormai un’eccezione ma un fenomeno significativo, specialmente per chi opera in certi ambiti particolarmente favorevoli alla digitalizzazione.

Uno studio di Instant Offices ha premiato di recente la capitale portoghese Lisbona, Bangkok in Thailandia e Salonicco in Grecia come città ideali per lavorare in remoto. Ma classifiche di questo tipo se ne trovano molte e forniscono risultati differenti a seconda dei parametri presi in considerazione e del peso che viene loro assegnato. Nomad List, la piattaforma di riferimento del settore, cita per esempio nella sua classifica generale Varsavia e Cracovia in Polonia e poi l’isola di Gran Canaria nell’arcipelago spagnolo al largo della costa africana nord-ocddientale seguite da Seoul, Budapest, Belgrado, Sofia, ancora Lisbona, Buenos Aires e Porto. Bangkok arriva in questo caso alla 12esima posizione.

Lavoratori da remoto & “nomadismo”

A prescindere che si cerchi una destinazione di mare, di campagna o di montagna in cui lavorare con serenità per due o tre settimane o un posto esotico dove trattenersi più a lungo che si allinei al proprio stile di vita nomade gli elementi da tenere in considerazione non variano troppo. D’altronde l’indagine di Airbnb spiegava non a caso che il 46% dei “lavoratori da remoto” ha già fatto esperienze di nomadismo digitale mentre la restante parte intende farlo nel prossimo futuro, segno che i confini si fanno sempre più sottili e che ormai trasformarsi in veri e propri nomadi dopo aver assaporato la libertà dello smart working è sempre più semplice.

Se guardiamo ai dati dei rapporti firmati dall’Associazione italiana nomadi digitali emerge che i quattro aspetti più rilevanti e irrinunciabili per i remote worker che vorrebbero vivere un’esperienza di nomadismo digitale in Italia e che influenzano la scelta della loro destinazione sono: la qualità della connessione a internet, i costi della vita adeguati alle loro esigenze, le attività culturali presenti e la possibilità di sperimentare le tradizioni locali. A questi ingredienti altre indagini aggiungono spesso i livelli di sicurezza generale e di assistenza sanitaria, il costo dei trasporti, il rispetto dei diritti civili e anche elementi che, pur essendo squisitamente personali, finiscono per intervenire nelle classifiche e nei consigli come il clima, i giorni di pioggia o le temperature medie e così via.

Occhio alla banda (larga)

Senza dubbio, specialmente in un paese come l’Italia segnato ancora da criticità in termini di banda larga ma vale ovviamente per ogni posto nel mondo, il requisito più importante è quello della connettività, fissa o mobile. Per cui l’ideale è scegliere almeno tre località gradite e fare un po’ di test sui siti ufficiali degli operatori mobili, ad esempio, per capire la copertura effettiva in quel territorio. O cercare la presenza di eventuali spazi di co-working con connessioni veloci. Anche il costo della vita è importante: se è vero che in smart working si lavora, l’ideale sarebbe scegliere posti in cui non si spenda tutto ciò che si guadagna in una giornata media.

L’offerta culturale ha poi il suo peso, anche se pure in questo caso si tratta di preferenze personali: l’indagine Airbnb spiega infatti che il 60% degli intervistati vorrebbe partecipare a eventi culturali ed enogastronomici il 51% ad attività a contatto con la natura, il 40% a esperienze originali e caratteristiche del territorio e attività di socializzazione con la comunità locale (37%). Efficienza e cultura, prezzi medi e natura: lo smart working in vacanza bisogna costruirselo da soli, secondo il proprio mix di esigenze.